Il Delitto di Garlasco è una delle pagine cupe e misteriose della cronaca nera italiana. Non solo non si ha alcuna certezza sulla dinamica dei fatti, non solo si ha come unico indagato una persona sentimentalmente vicina alla vittima, ma man mano che il tempo passa escono fuori fatti scabrosi e sconcertanti sulla vicenda. È di ieri la notizia che Alberto Stasi, fidanzato della vittima, è stato condannato dalla Corte d’Appello di Milano a 30 giorni di reclusione per detenzione di materiale pedopornografico.

Facciamo un passo indietro. Stasi, aveva in piedi un processo parallelo a quello che lo vedeva imputato per l’omicidio di Chiara. E il capo d’accusa, in questo caso, era proprio la pedopornografia. Questo particolare è assai importante in quanto, dalla ricostruzione dell’accusa, sarebbe proprio il movente del delitto di casa Poggi. Chiara, scoperta la “perversione” del compagno, lo avrebbe minacciato di rendere pubblica la questione. Ragione che avrebbe portato Stasi ad ucciderla per paura di uno scandalo.

L’Assise milanese ha giudicato “raccapriccianti” i file trovati sul computer di Stasi, prova di un’insana abitudine del ragazzo di compulsare siti erotici-pornografici. Secondo la difesa, invece, il materiale illecito reperito è troppo limitato e frammentario per poter parlare di una consapevole attitudine da parte di Stasi di scaricare o visionare foto e videoproiezioni pedopornografiche.

Per il momento l’unico risultato ottenuto dal team difensivo di Stasi è stato quello di far convertire la reclusione in sanzione pecuniaria dell’ammontare di 2540 euro. Intanto è già avviato il ricorso in cassazione per dimostrare che i 17 frammenti pedopornografici incriminati non sono stati né intenzionalmente né integralmente scaricati, facendo così cadere il capo di accusa di detenzione di materiale illecito.

Foto | Crimeblog

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ultimo aggiornamento: 18-05-2013