Milano lacerata dall’ennesimo fatto di cronaca. Una giovane donna si suicida gettandosi sui binari della metro della linea 1, alla stazione Primaticcio. Questione di attimi e l’autista del mezzo non ha potuto fare nulla per evitare il peggio. Stranamente la vicenda fa notizia. Tristemente più del normale, perché questo non è un episodio isolato. Dall’inizio del 2013 è infatti già il dodicesimo caso che si registra nel capoluogo meneghino, facendo già parlare di emergenza.

È di pochi giorni fa la notizia che il Comune di Milano, consapevole dei dati poco rassicuranti legati a questi agghiaccianti fatti di cronaca, ha ritenuto opportuno correre a (blandi) ripari, promettendo l’inserimento in metro di una cartellonistica con numeri utili di servizi sociali. L’obiettivo: quello di offrire sostegno psicologico a chi ne ha bisogno, tentando così di arginare il disagio e il dolore che portano a gesti così estremi.

Dicevamo, i dati. La matematica è una scienza fredda ma è una scienza esatta e così anche la statistica, che di matematica si nutre. Nel 2012 solo a Milano si erano registrati 11 casi di suicidi in metro. Alla metà di quest’anno il numero appare già superato. In Italia si vive un momento di grande cupezza, depressione economica, depressione psichica e poche vie di fuga. Ma probabilmente dare la colpa solo al mercato che non gira e ai soldi che sono sempre di meno appare riduttivo.

La componente monetaria è certamente la classica goccia che fa traboccare il vaso, ma probabilmente parliamo di una punta di iceberg, perché se no non si spiega come il più alto tasso di suicidi non si sia avuto dall’inizio del secolo scorso in giù, con qualche picco più contemporaneo nei periodi cupi delle persecuzioni razziali. I nostri bisnonni (e i loro padri prima di loro) hanno visto la fame nera, famiglie numerose e poco da spartirsi, eppure lì la “selezione” era naturale. I suicidi erano roba da aristocratici.

E se proprio volessimo spaccare il capello, dobbiamo anche dare un dato Istat non da poco: fra i Paesi OCSE l’Italia risulta fra quelli con il più basso tasso di mortalità per suicidio. Questo lascia intendere come le nazioni con anche una maggiore floridezza economica, con un welfare state funzionante e con più possibilità di vivere una vita soddisfacente sotto il profilo del benessere, abbiano anche i cittadini più inclini al togliersi la vita.

Allora forse il problema ha carattere più profondo. Le donne, sempre secondo Istat, sono meno avvezze al suicidio (scusate se non indoriamo la pillola e puntiamo sulla crudezza anche dei termini oltre che dei concetti, ma siamo convinte che in questo caso serva a svegliare le coscienze) rispetto agli uomini. Eppure è fuori di dubbio che chi risente maggiormente del peso emotivo di tutto siamo proprio noi. E la tentazione di fuggire, in ogni modo, è una lusinga pericolosa che non ci lascia certo in pace.

Bastoni della vecchiaia di genitori sempre più anziani, crocerossine dei nostri compagni, mamme sempre all’altezza del compito, donne denigrate sul lavoro (la parità retributiva è ancora una chimera, per dirne una) e anche protagoniste passive dei casi di violenza ai nostri danni. No, non conosciamo la ragione che ha spinto la ragazza di oggi a gettarsi sotto un treno, non sappiamo se avesse perso l’amore, il lavoro o fosse vittima di pressioni esterne. Di certo una cosa la possiamo dire con certezza. Se fosse stata meno sola di certo ci avrebbe pensato due volte prima di spegnere la sua vita così.

Diceva Bruno Ferrero, nella sua infinita delicatezza di pensiero: “Possiamo vivere soltanto se siamo sicuri che c’è qualcuno che ci attende”. Non lasciamoci soli. Non lasciamoci sole.

Foto | da Flickr di twicepix

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ultimo aggiornamento: 29-06-2013