La storia del patchwork è davvero molto antica: la tecnica, infatti, ci arriva direttamente dai primi pionieri americani, che nei secoli scorsi erano soliti riciclare vecchi ritagli di stoffa per migliore i capi di abbigliamento che si erano rovinati, per realizzare nuovi capi di abbigliamento sfruttando pezzi di riciclo che altrimenti sarebbero stati buttati via. E ancora oggi questa usanza è rimasta in voga, per non sprecare niente e per avere nuovi capi ed accessori spendendo poco.

I primi lavori al patchwork furono proprio le coperte imbottite con foglie di tabacco e di cotone, per tenere tutta la famiglia al caldo, riutilizzando come involucro vecchi pezzi di stoffa, che poi andavano a formare i classici motivi geometrici che siamo abituati a vedere oggi: quadrati, rombi, cerchi, rettangoli, triangoli, tutti uniti insieme per dare uno stile particolare al progetto finale.

Ma nel corso della storia le tecniche del patchwork si sono evolute: non solo più motivi geometrici, ma anche il patchwork applique e Baltimora, con disegni realizzati con piccoli pezzi di stoffa applicati sul blocco che vanno a produrre il disegno finale, i patchwork hawaiani, con più teli sovrapposti, i patchwork molas, tipici delle isole di Panama, che anche in questo caso sono realizzati con tecniche di sovrapposizione di stoffe colorate.

Con il patchwork ben presto si è cominciato a realizzare di tutto un po’: non solo coperte, ma anche capi di abbigliamento, accessori, oggetti per la casa e persino decorazioni, come ad esempio accade per il c, un’evoluzione più recente che non è propriamente una tecnica del patchwork tradizionale, dal momento che non prevede la cucitura della stoffa ma l'”incastro” dei pezzi nei tagli praticati in forme di polistirolo.

Negli anni Novanta il patchwork si è diffuso anche in Italia.

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ultimo aggiornamento: 08-01-2014