Dal sito web dell’Associazione Luca Coscioni, Valentina, la ragazza romana che ha raccontato di aver dovuto abortire da sola in ospedale nel 2010 perché erano in servizio solo medici obiettori, è intervenuta formulando un appello alla stampa. La giovane, infatti, è stata letteralmente subissata di richieste di interviste che, però, non rilascerà perchè il dolore della sua famiglia è una ferita aperta che difficilmente potrà rimarginarsi. A Valentina sta a cuore che si parli di altro, non del tragico evento – da condannare ovviamente – di cui è stata vittima quattro anni fa, ma della legge 40 che in Italia regolamenta l’accesso alla procreazione assistita.

Ma perchè parlare della legge 40? Perchè, come dichiara Valentina “(…) se non ci fosse stata la legge 40 con i suoi assurdi divieti tutto quello che ha riguardato me e la mia famiglia in questi anni non sarebbe mai successo”.

La legge 40, infatti, permette l’accesso alle tecniche di fecondazione assistita solo alle coppie sposate che hanno problemi di fertilità ma non permette a delle famiglie, come quella composta da Valentina e suo marito Fabrizio di farvi ricorso. Come chi ha seguito la vicenda saprà, la ragazza è affetta da una rara malattia genetica trasmissibile per via ereditaria; ricorrendo alla procreazione assistita si potrebbe effettuare una diagnosi pre-impianto, analizzando lo stato genetico evidenziando fin da subito le anomalie.

Il Tribunale di Roma II ha recentemente sollevato dubbi sulla legittimità della legge 40 che andrebbe in contrasto con quanto affermato nella legge 195 (sembrerebbe davvero inconciliabile il divieto di evitare l’impianto di un embrione affetto da patologie con la possibilità, assicurata dalla seconda legge, di interrompere la gravidanza una volta avviata) e Valentina chiede proprio di porre l’attenzione su questo fatto.

Nel frattempo si attende l’8 aprile quando la Corte di Cassazione si esprimerà su tale questione.

Fonte | Associazione Luca Coscioni

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ultimo aggiornamento: 12-03-2014