Da più di un mese la Nigeria piange le sue figlie scomparse, rapite nel Borno mentre erano a scuola da una milizia islamica di stampo terroristico, costrette ad abbassare la testa, a subire la minaccia di essere vendute come schiave e a convertirsi ad altra religione. Giovani donne su cui è stata usata violenza solo perché desiderose di avere un’istruzione, rubate alle loro vite e alle loro famiglie e usate ora come merce di scambio col governo nigeriano per ottenere la restituzione di alcuni esponenti del Boho Haram, imprigionati nelle carceri di Stato.

Da giorni l’opinione pubblica internazionale aderisce alla campagna Bring Back Our Girls (testualmente Riportiamo indietro le nostre ragazze), molla che ha fatto mobilitare governi ed istituzioni internazionali per la risoluzione della questione. Persino la First lady Michelle Obama e la ex Premiere dame Carla Bruni ci hanno messo la faccia, impegnandosi affinché l’emergenza africana non fosse trattata come una questione territoriale ma come un’urgenza di livello mondiale.

E di questo infatti si tratta. Perché le studentesse nigeriane rapite sono anche figlie nostre. Sono ragazze da proteggere, cui garantire un futuro migliore, a cui permettere di conseguire un diploma e anche una laurea. Sono giovani donne a cui deve essere permesso di crescere e di spiccare il volo, costruirsi una famiglia, avere dei bambini e delle bambine a cui insegnare il rispetto per l’essere umano, per la sua libertà di scelta, di vedute e per ogni sua istanza di autodeterminazione.

Invece la Nigeria è una delle regioni del mondo dove l’infanzia è spesso violata, dove le lotte intestine per il controllo dei pozzi di petrolio (il Delta del Niger è un territorio ricchissimo di greggio leggero) non hanno civiltà e dove i gruppi di guerriglia armata arruolano ragazzini in tenera età per farne bambini soldato. Il tutto per ragioni utilitaristiche: sono più piccoli, più agili e più facilmente manipolabili.

Fra le fila di queste milizie ci sono anche bambine, strappate alle proprie famiglie e usate per soddisfare le esigenze degli accampamenti e per il diletto dei soldati. Ma la Nigeria è anche terreno fertile per le guerre religiose, faide territoriali che vedono contrapporsi fondamentalismi di ogni risma. E Boko Haram è vessillo proprio di uno di questi.

L’organizzazione è clandestina, di tipo jihadista e il suo nome in lingua Hausa significa letteralmente “l’educazione occidentale è sacrilega”. Per tale ragione ogni azione bellica perpetrata ha come finalità quella di abolire il laicismo, la cultura moderna, le religioni diverse dall’Islam, le istanze di rinnovamento del Paese, la modernità e per riflesso anche i più basilari diritti umani.

È ingiusto e assurdo che gruppi armati fondamentalisti abbiano campo libero in qualunque angolo del globo. Come ogni estremismo, anche in questo caso, l’obiettivo “santo” giudicato desiderabile ad ogni costo, diventa una sanguinosa strada che conduce al nulla. Nessuna giustizia, nessun benessere, nessuna felicità. Anzi, a pagarne le conseguenze sono quasi sempre vittime del tutto innocenti, come nel caso delle studentesse del Borno.

Quale è stato il peccato? L’ingenuo e sacrosanto desiderio di accrescere la loro istruzione. La pena che è stata loro inflitta? Dati per buoni i video girati dai guerriglieri, in cui le stesse ragazzine dicono che non è stato fatto loro del male fisico, di certo la paura, il lavaggio di cervello, la lontananza coatta da casa e dai genitori, il terrore di essere vendute come bestiame, quello di essere abusate, la costrizione a convertirsi all’Islam e a pregare pubblicamente un dio non loro, il pericoloso dubbio che non tutto sia destinato a finire con la loro incerta, eventuale e non ancora definita liberazione.

Quello su cui Nazioni Unite, Governi e Organizzazioni internazionali devono concentrarsi ora è far si tornare le ragazze a casa, ma anche stringere il pugno per debellare ogni rischio che la cosa possa ripetersi in futuro. L’incolumità corporale è la prima da salvaguardare, ma anche l’integrità psichica è importante: nessuna di loro dovrà avere timore a inforcare lo zaino e andare ancora a scuola e nessuna madre dovrà impedire alla propria figlia di farlo per paura di perderla ancora.

Bring Back Our Girl, riportiamo le ragazze a casa. Ma non lasciamole sole al loro destino, impegniamoci per non gettare nel dimenticatoio tutto quello che è stato affinché l’agenda internazionale non depenni il problema ma si muova per risolverlo alla radice. Perché come diceva Nelson Mandela “i bambini nel mondo devono essere liberi di crescere e diventare adulti, in salute, pace e dignità”. Ma per raggiungere l’obiettivo è necessario che mani di ogni nazionalità e colore si adoperino per costruire un benessere duraturo, valevole per tutti i bambini e le bambine del pianeta, futuri uomini e donne di domani.

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ultimo aggiornamento: 16-05-2014