Le donne in Giappone non solo geishe, come spesso ci immaginiamo noi Occidentali. Sono creature delicate, raffinate, con un gran senso del lavoro della famiglia, ma non tutte crescono con l’idea che l’uomo sia un padrone da servire e da accudire. Prima cosa, bisogna considerare che all’origine, la società giapponese nasce come matriarcale. Erano la vera colonna portante della famiglia, spesso costrette a sacrifici e a lavori pesanti, ma erano anche rispettate.

Nel medioevo, la condizione si è progressivamente ribaltata. La società giapponese ha assunto uno stampo militare, dove gli uomini potevano affermare la loro supremazia fisica ed economica. Nel 1889 è entrata in vigore la Legge Meiji, nella quale alle donne è stato negato il diritto di voto, di aderire a partiti politici, di partecipare a corsi di scienze politiche. E non solo, la donna è diventato un accessorio della casa, nulla di più: in caso di separazione, i figli erano del marito.

Le donne giapponesi hanno lottato duramente per cambiare le cose e le femministe hanno portato avanti battaglie fondamentali per la libertà di espressione del “sesso debole” e nel 1922 sono riuscite nuovamente a essere riammesse alle riunioni politiche. Il diritto delle donne al voto, tuttavia, non è stato raggiunto fino a dopo la seconda guerra mondiale, ma questa cosa non ci deve scandalizzare, perché è stata così anche in Italia.

Attualmente la donna giapponese sta imparando a conquistare un suo posto nella società, anche se è difficile scalfire determinati stereotipi. Le pressioni sociali sono ancora elevate e il raggiungimento dell’emancipazione è una strada tutta in salita.

Via | Women in world history

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ultimo aggiornamento: 12-06-2014