È un richiamo alla responsabilità quello che lancia Giorgio Napolitano, neo Presidente della Repubblica italiana, dall’aula di Montecitorio. Nel suo discorso di insediamento, che apre il secondo settennato che porta il suo nome, si rivolge alle forze politiche come un nonno severo parla a figli e nipoti, colpevoli di aver predicato bene e razzolato male. Analizza la disastrata situazione contingente dello Stato italiano, le riforme mancate e dedica un pensiero anche alle donne, immerse in un limbo di “emarginazione e subalternità”.

E poco conta se la strigliata arriva dopo uno zuccherino dolce di ringraziamento per la rielezione e la fiducia ridata alla sua persona. Si, le parole iniziali avranno un po’ inorgoglito i presenti in aula, certamente convinti di aver fatto la scelta giusta, menzionati tutti in modo trasversale nel discorso, ma la soddisfazione dev’essere durata ben poco. Ogni parola successiva di Napolitano, pesata e precisa come tutte quelle da lui pronunciate, è stata una freccia avvelenata, tirata verso una classe politica colpevole di tante mancanze.

Una su tutte, la cattiva gestione degli affari pubblici, della situazione della disoccupazione, della mancata creazione di lavoro e del pessimo andazzo di quello che ha la presunzione di dirsi un welfare state. Tutto da rifare insomma. Tutto. Anche il “primodonnismo” di certi esponenti politici troppo attenti al proprio tornaconto personale per discutere seriamente di come migliorare il paese.

Chi non ha colto l’invito alla democratizzazione ha plaudito al discorso dicendo che era straordinario. Chi si è sentito pungere nel vivo, si è morso la lingua e ha preso appunti mentali. Sinceramente, il discorso di Napolitano era esattamente come tutta la base elettorale (leggi: noi comuni votanti mortali e lontani dalla stanza dei bottoni) se l’aspettava: lievemente polemico e languidamente propositivo.

Eh si, perché di donne il Presidente ha parlato, insieme a tanti altri temi, ma toccando sempre e solo la superficie dell’acqua. Vero è che gli unici a poter passare all’azione sono gli abitanti dell’aula di Montecitorio dove si è consumato il discorso. Vero è anche che l’età anagrafica del vecchio-nuovo inquilino del Quirinale suggerisce moderazione. Eppure la sensazione di bocca asciutta a noi è rimasta, come se ci attanagliasse l’idea che con certi soggetti sia necessaria maggiore incisività per far capire la sostanza delle cose.

Napolitano si propone come forza in grado di “coagulare” il paese. Noi prendiamo e portiamo a casa, nella speranza che l’accenno lieve alla situazione femminile sia foriero di tanti buoni fatti per rendere davvero l’Italia un paese dove le donne non hanno paura di fare figli per non perdere il lavoro. Per dirne una. Noi i programmi elettorali delle coalizioni in campo alle passate elezioni politiche ce li ricordiamo tutti, compresi i buoni propositi dedicati al mondo delle donne, mamme, mogli, figlie, creature degne di rispetto.

Attendiamo una traduzione dalla parola all’azione. E che Napolitano, cortesemente, non si scordi di tirare ancora le orecchie a chi di dovere. Di tanto in tanto.

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ultimo aggiornamento: 22-04-2013