È passato già un anno. Da quella confusa giornata del 29 maggio 2013, data che ci ha portato via Franca Rame, sono già trascorsi 365 giorni e il senso di vuoto non accenna a passare, anzi. Spesso accade che gli anniversari di questo tipo cadano nel dimenticatoio fino a che la tv, la radio, i giornali non ne parlano, facendo toccare con mano il veloce scorrere del tempo. Ma in questo caso pare che l’assenza e l’emotività da essa derivata abbiano fissato un promemoria naturale, un post-it mentale che non si è mai scollato e che anzi ha iniziato a frusciare sotto il naso già da qualche settimana.

O almeno questa è la percezione della sottoscritta, che vive il lusso di un lavoro che le dà tempo e possibilità per osservare, ascoltare, annusare ciò che accade in giro, quello che la gente pensa e dice e raccontare la sua realtà alla rete. Il tutto rigorosamente “in borghese”, sfruttando la classica veste del “man on the street” (o woman on the street nella fattispecie) che si muove indisturbato fra rumore e fretta per capire e carpire le voci della città.

In questo caso la città è Milano, la culla di una vita di amore, teatro, battaglie personali e sociali di Franca Rame. La storia di Franca non può essere raccontata separatamente dal capoluogo meneghino, che le ha fatto da spalla, da confidente, da amica-nemica, da paraninfa, da palcoscenico e anche da ultima tappa terrena. La Milano fatta di strade che non portano solo nome di personaggi o eventi storici, ma che quegli eventi e quelle persone li hanno visti davvero. La stessa che a Franca ha voluto e vuole bene, quella che non dimentica, quella che ha la discrezione di non parlare ma anche la capacità di lasciar capire. E proprio con Milano sullo sfondo, ecco l’omaggio di Pinkblog a questa grande donna dall’animo gentile e dalla forza immensa, raccontata attraverso i suoi luoghi.

Fra Parco Sempione e Sant’Ambrogio, l’amore per Dario

“È una notte chiara, gli alberi proiettano lunghe ombre. Nessuno spazio che ci permetta di appartarci un poco. Ci blocca un solco profondo attraversa l’intero giardino; dal fosso spuntano canne e arbusti acquatici, ma acqua non ce n’è. Più avanti c’è un ponticello, scendiamo e ci sdraiamo nell’ombra prodotta dal ponte. Ci abbracciamo. “È una fortuna aver scoperto questo rifugio”. E lui: “Speriamo che non aprano le chiuse e l’acqua non ci inondi”. “No, è un periodo di siccità: non sprecherebbero mai tanta acqua per farci uno scherzo del genere!”. C’è un gran silenzio, torniamo ad abbracciarci felici. Di colpo un fruscio sale gorgogliando. “Oh mio dio, hanno mollato la chiusa!”. “Presto, usciamo!”. Ma non facciamo in tempo, ci arriva addosso una cascata. Ci appendiamo ai rami di un salice e riusciamo a guadagnare la riva. Siamo madidi d’acqua. Ci guardiamo e spruzzandoci l’un l’altra del nostro sguazzo scoppiamo in una gran risata.” (da “Così, in un parco di Milano, conobbi Dario” di Franca Rame)

Da sempre il nome di Franca Rame è stato la diretta prosecuzione di Dario Fo, come se si trattasse di una perifrasi di quattro parole per definire un unicum. E in effetti le storie dell’uno e dell’altra non solo si incontrano, ma si sovrappongono, si intersecano, si doppiano e fioriscono pur mantenendo le due identità ben chiare. Dario e Franca si conoscono nel 1951 a teatro, nel periodo in cui lei fa parte della compagnia Sorelle Nava e Franco Parenti. Lui ha da poco lasciato la strada sicura del Politecnico per dedicarsi ad una più incerta ma anche più appassionante vita da artista e frequenta circoli culturali e colleghi dell’ambiente teatrale.

A fare il primo passo è lei, giovane, bellissima, corteggiata. Rompe la barricata di riservatezza di Dario, il giovane “lungone dinoccolato e sorridente, dall’aria dolce-dolce”, come lo descrive la stessa Rame, che la guarda spesso da lontano mantenendo una sorta di distanza di sicurezza. Bastano due battute per far sciogliere ogni riserva e dopo una serata a base di pane, salame e birra, galeotta è una lunga passeggiata per Milano, vicini, già innamorati. Con Corso Sempione che diventa testimone dei primi battiti di cuore di questa nuova e non ancora famosa coppia.

Solo 3 anni più tardi Franca e Dario si dicono si nella Basilica di Sant’Ambrogio, sotto le volte a crociera costolonate ed è l’inizio di un grande sodalizio sia privato sia professionale. Il primo sigillato e suggellato dalla nascita di Jacopo, il secondo da una vita piena, fatta di amore ricambiato per l’arte e per la gente.

I teatri di Milano

Nel 1950, poco prima di incontrare Fo, Franca Rame era stata scritturata con la sorella nella compagnia di prosa di Tino Scotti per lo spettacolo di Marcello Marchesi Ghe pensi mi. Lo spettacolo si teneva in quello che allora era il Teatro Olimpia, sito in via Beltrami, quasi all’ombra del Castello Sforzesco. L’Olimpia, che fu ristrutturato per l’ultima volta verso la metà degli anni 40, fu dismesso pochi lustri più tardi dal suo ruolo per diventare sede di uffici commerciali e negozi e ad oggi il suo affaccio su piazza Castello è anche quasi oscurato del tutto dalla presenza di una maxi piramide in plexiglas dedicata ad Expo 2015.

Sorte meno brusca ma sempre simile è toccata anche al teatro Odeon di via Santa Radegonda, dove Franca conobbe Dario e dove invece adesso c’è un multisala. I portici con colonne e archi, il marmo verde, le grandi porte in legno e vetri forse ancora raccontano la magia del palcoscenico che c’era un tempo e che sprigionava passione e poesia da ogni pertugio. Toccare con mano, respirare l’aria e abbandonarsi alle suggestioni: anche se le quinte hanno lasciato il posto ai maxischermi, con un po’ di impegno si può sentire ancora il fascino di un passato non poi così lontano.

Racconta una storia più “tangibile” e duratura il teatro Nuovo, che si affaccia su piazza San Babila e che da tutti è giudicato il teatro per eccellenza dei coniugi Fo. Qui sono andate in scena le commedie più belle, pungenti, divertenti, emozionanti e sagaci della storia della drammaturgia italiana firmate dalla coppia. Una su tutte Mistero Buffo, in cui la Rame racconta la sua Maria sotto la Croce, umana, terrena, desiderosa di aiutare il figlio morente, ma anche arrabbiata con l’angelo Gabriele per averle taciuto questa fine lacerante.

Parentesi a parte merita il teatro Piccolo, dove solo un anno fa uno stuolo di donne vestite di rosso che intonavano O bella ciao, avevano dato l’estremo saluto a Franca, dedicando lacrime di commozione alla declamazione di uno struggente monologo su Adamo ed Eva (in video la versione senza tagli) scritto dalla Rame e interpretato da Fo per la commemorazione laica del 31 maggio. Anche se il Famedio del Cimitero Monumentale è il posto dove ora riposa, le sue spoglie hanno avuto riparo in una camera ardente allestita in questo luogo, dove la sacralità del teatro si è fatta casa e ha accolto gli ultimi saluti dei milanesi alla loro amica, sorella, compagna.

Il teatro di strada

“Franca Rame ci era nata, in mezzo al teatro popolare di strada, nel 1929. Suo padre socialista girava per la Lombardia con un palco-carrozzone che si montava e smontava in tre ore, e a lei piaceva ricordare che l’avevano già portata in scena quando aveva solo otto giorni. Nel dopoguerra il suo fascino le aveva spianato la carriera del varietà, ma non poteva certo bastarle fare la bela tosa.” (da “Il mio ricordo di Franca Rame, nostra amata leonessa” di Gad Lerner)

L’alone di eleganza e raffinatezza che ha sempre avvolto Franca Rame talvolta ha tratto in inganno e falsato il giudizio sul suo conto. Posto che i prosceni sono certamente i luoghi per eccellenza di ogni teatrante, la Rame ha anche una storia ben scritta che la vede volentieri lontana dalle luci di quinte e ballatoi preferendo talvolta l’arte di strada o quantomeno quella delle scuole occupate.

Gli anni a cavallo del 68 italiano, sono quelli delle contestazioni studentesche e la vivissima Milano, così come fu durante il Risorgimento italiano di Mazzini e Cattaneo che muovevano le masse verso l’Italia Unita, ora vede i discenti dell’Università Statale lottare al fianco della sinistra operaia per un futuro migliore. Si boccia la guerra nel Vietnam, si chiede una maggiore accessibilità alla cultura e migliori condizioni di lavoro, si bruciano i reggiseni in piazza e si fanno cortei in rosa per sancire i diritti delle donne.

In questo contesto intellettualmente stimolante si colloca anche l’opera di Franca, femminista della prima ora, donna arguta e ironica che fa della sua arte da palcoscenico cibo fertile anche per una raffinata denuncia sociale. Mette in scena con Dario spettacoli teatrali all’interno di luoghi non canonici, come le fabbriche, gli edifici occupati, i circoli di stampo comunista lasciandosi andare all’arte dell’improvvisazione. Quest’ultima lontana parente dei flash mob, con cui il teatro di strada ha davvero molto a che spartire.

Nascono in questo contesto il collettivo Nuova Scena e La Comune e Franca scrive e interpreta testi di stampo comico-grottesco dedicati alle donne, alla loro vita, alla dialettica fra buon angelo del focolare e lavoratrice, individuo di una nuova società in cui le è concesso battersi per avere il suo spazio. Sono di questi anni Tutta casa, letto e chiesa, da cui il personaggio esilarante della mamma fricchettona catto-comunista (qui sotto in video), Grasso è bello! e La madre.

I luoghi dell’addio

“E l’ho rivista in cima
A una piramide di uomini
(quelli di prima)
e il suo volto serio il pubblico sfidava
“Ci vuole coraggio”, sembrava dire
per restare quassù
e “Ridere non basta”.
Ma io non so che fare
Altro che miracoli
Io non ho altro
Nido che questo
Perché vorrei raccontarvi
Ciò che quassù io sogno.
Io so solo volare
Io non so fingere altro
Che verità.”

(da “Poesia a Franca Rame” di Stefano Benni)

In barba alle battute sull’inquinamento aereo che possono scaturire dalla bocca degli ambientalisti a ciò che ora sto per dire, Milano è in verità una città tutta da annusare. Ho avuto la fortuna di girarla con i sensi allertati e il naso attento, come fa un innamorato con gli indumenti che portano l’odore della persona desiderata. I luoghi di Franca, che alla vista sono tutti molto diversi dagli anni d’oro del teatro Rame-Fo per via del continuo e inarrestabile aggiornamento dell’urbanistica (che fra altri dieci, venti, cinquant’anni sarà probabilmente rimpastata nuovamente), riescono ancora a conservare un certo profumo emotivo.

Muovendomi per Milano attraverso tappe ben precise che hanno toccato in chiusura Porta Romana, dove c’è casa Rame-Fo, il Piccolo e il Monumentale, quest’ultimo completamente imbozzolato in un sudario di lavori in corso per il già citato Expo 2015, sono riuscita a percepire forte l’emozione di quello che era e di quello che è. La frenesia delle ore di punta, la Milano da bere che oggi fa rima con brunch ed happy hour, la Madonnina che si affaccia sul lounge bar del settimo piano della Rinascente prima ancora che su piazza Duomo, sono tratti distintivi di una contemporaneità meneghina spicciola che non riesce a cancellare quell’anima romantica della storia.

Franca Rame di quella storia fa parte, grazie al contributo di amore e cultura che ha donato senza risparmiarsi. La sua Eva rinunciava all’immortalità perché affascinata dalle emozioni terrene piuttosto che dall’Eden, eppure quell’umanità manifesta, quella tenerezza e quella caparbietà tipiche dell’animo femminile, quella mela mangiata per scelta consapevole e non per errore l’hanno comunque resa immortale, almeno nei nostri cuori.

Così come anche la meravigliosa delicatezza di chi a quella Eva ha dato voce.

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ultimo aggiornamento: 29-05-2014