C’era una volta un autoritratto, morbido e sformato come i celebri orologi del suo autore, padre della dilatazione del tempo e dei canoni dell’arte del XX° secolo. Un volto deformato, plasticamente fuso e quasi sciolto come una maschera di cera vicina ad una nefasta fonte di calore che ne modifica inevitabilmente i tratti rendendoli simili alle fattezze inquietanti di un mostro solo leggermente antropomorfo, che dell’umanità conserva un alone tanto pallido quanto ulteriormente oscuro. Tra rifiuti e “costanti tragiche”, il maestro si lascia andare ad un gioco di nonsense costringendo il giornalista ad intervistarlo giocando sullo stesso limitare delle forme tradizionali. Nel documentario di Jean-Christophe Averty (France, 1966), rediffuso ieri sera, 27 febbraio 2013 alle 23.45 su Paris Première sono condensate un buon numero di stranezze del celebre artista catalano.

Bizzarrie e curiosità che fanno eco a quelle già note e invitano a riscoprire lo strambo universo di Dalì, attualmente esposto in una grande retrospettiva al Centre Pompidou di Parigi. Un intera costellazione surrealista fatta di teste assurde, associazioni inaspettate, movimenti inconsulti e precisioni geometriche allentate, tipiche di un tempo senza obblighi e di un dialogo libero con una personalità traboccante di chimere e solitudini gridate al chiaro di una luna blu dal bel profilo pubblicitario.

Nell’immagine Autoportrait mou avec du lard grillé, 1941, olio su tela, 61.00 x 51.00 cm. ©Salvador Dalí, Fundació Gala-Salvador Dalí, Figueres, 2004.

Via | salvador-dali.org

Riproduzione riservata © 2024 - PB

ultimo aggiornamento: 28-02-2013