Le presta il volto la divina Juliette Binoche, ma la storia è quella della scultrice Camille Claudel, sorella del poeta Paul Claudel, raccontata con la regia di Bruno Dumont. Una donna brillante e tormentata, che diventerà una leggenda dell’arte parigina a cavallo tra il XIX° e il XX° secolo, per poi trascorrere gli ultimi trent’anni della sua vita reclusa, prima nell’ospedale psichiatrico di Ville-Évrard e poi nell’asilo di Montdevergues a Montfavet, dove si consumerà progressivamente per spegnersi in una tormentata inedia, lontana dagli echi della seconda guerra mondiale, nell’ottobre del 1943.
Se alcune tra le sue testimonianze artistiche più intense, come il bronzo L’Âge Mûr o il Torse de Clotho in gesso, sono oggi conservate al Musée d’Orsay, buona parte delle cinquanta sculture repertoriate giacono in una sala dedicata proprio a Camille Claudel presso il Musée Rodin di Parigi, a due passi da quelle del suo più grande amore. E a proposito della prima opera citata, il triplice gruppo scultoreo fuso in due esemplari, Paul Claudel si esprimeva in questi termini:

Mia sorella Camille, implorante, umiliata, in ginocchio, quella superba, quell’orgogliosa, sappiate che ciò che si strappa da lei, in questo stesso momento e sotto i vostri occhi, è la sua anima.

Via | arte.tv/fr

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ultimo aggiornamento: 15-03-2013