Marco Bagnoli al Giardino di Boboli, Araba Fenice, 2013, Foto Carlo Cantini

La festa di San Giovanni il Battista, patrono di Firenze, ha portato nel capoluogo toscano una nuova mostra, proveniente come l’alata fenice che le da il nome, da suggestioni lontane. L’esposizione, organizzata in collaborazione con la Soprintendenza Speciale per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico e per il il Polo Museale fiorentino, visitabile fino al 24 agosto 2013, è stata costruita a partire dalle opere di Marco Bagnoli, all’interno della Limonaia grande nel Giardino di Boboli, con la curatela cura dello storico dell’arte, Sergio Risaliti. Ancora installazioni site specific, a riprova dello stretto rapporto intessuto dall’artista con la città dell’Arno, una relazione puntellata dalle mostre ospitate in luoghi simbolo come la Cappella Pazzi, il Forte di Belvedere, la Basilica di San Miniato, la Sala Ottagonale della Fortezza da Basso, Palazzo Medici Riccardi e il Parco Mediceo di Pratolino, che offre ancora una volta un’ottima occasione per dialogare con il passato.

Un confronto che non indugia nella citazione di immagini e stili obsoleti o già museificati, ma vive di ricerca e curiosità per forme e materiali singolari o preziosi, secondo traiettorie eccentriche, che portano Bagnoli a contatti costanti con simbologie e mitologie non solo occidentali. Non è insolito vedere accostati materiali iconografici e leggende dell’antica Persia a quelle Veda, miti greci e filosofia rinascimentale, scienza sacra ed epistemologia contemporanea. Come scrive la Soprintendente Cristina Acidini nel libro d’artista pubblicato in occasione della mostra: “Dietro a ogni opera, o segno, o pensiero di Marco Bagnoli pare ci sia un viaggio. Nello spazio, verso quell’Oriente che ci è genitore. O nel tempo, a ritroso in un passato sempiterno. O all’indentro, per i labirinti dello spirito percorsi dalle antiche civiltà e dagli individui odierni. Nel Giardino di Boboli, lo splendido spazio della Limonaia accoglie il Libro e le opere di Bagnoli, riverberando e amplificando le loro suggestioni al confine tra l’opera dell’uomo e la Natura.”

Marco Bagnoli al Giardino di Boboli, Amore e Psiche-Voliera Villa Medicea Pratolino 2010, Foto Carlo Cantini

Un discorso di rimandi e di interrogazioni intessuto tra le opere di Bagnoli, la limonaia (un unico ambiente di 106 metri di lunghezza, conosciuto anche come Nuovo Stanzone per i Vasi) e il giardino di rose e limoni che dispiega i suoi odorosi e delicati contorni dinanzi all’edificio di fine settecento disegnato dall’architetto Zanobi del Rosso su commissione di Pietro Leopoldo di Lorena sull’area precedentemente dedicata al Serraglio di Cosimo III. Una personale che è una danza di pittura, scultura e musica i cui singoli ballerini sono rappresentati da un grande disegno di 90 metri, che rappresenta i Sette dormienti nella grotta come vuole la Legenda Aurea di Jacopo da Varazze che trova riscontro anche nel Corano, realizzata da una sequenza di circa 500 segni appesi al soffitto e realizzati in stoffa, gesso, pigmento rosso e foglia d’oro, il Cane di Hermes, scultura composta dalla sovrapposizione di vari elementi geometrici, le due grandi parabole (Janua Coeli) specchianti in bronzo e rame, che grazie allo strategico posizionamento ai lati estremi dello Stanzone, rifletteranno lo spazio all’interno con tutto quello che contiene, per proseguire verso l’esterno con una Mongolfiera di raggi sottili in dialogo con il suo doppio luminoso proiettato sulla parete della Limonaia, e poi la ‘mandorla’ mistica dell’Immacolata concezione, o Vesica Piscis, ovale di ceramica e resina dipinto a foglia d’oro con incassato al centro un corpo solido, il risultato dell’intersezione di due cerchi, simbolizzante unione di due dimensioni cielo e terra, divino e profano, con intermezzi musicali del violinista americano Michael Galasso e sonorità disegnate dal sodalizio con Giuseppe Scalipoli.

Marco Bagnoli al Giardino di Boboli, Metrica, Cappella de Pazzi,Foto Carlo Cantini

Un fitto e complesso sistema di rimandi al centro del quale apparirà l’Araba Fenice, la sagoma di una figura mitica che qui viene costruita nel vuoto generato dall’assemblarsi di ben tre sculture per volontà dell’artista Marco Bagnoli, presente in grandi mostre internazionali, come la Biennale di Venezia (1982, 1993, 1997) e la Documenta a Kassel (1982 e 1992) che si esprime cosi’:

L’opera d’arte è sempre un miracolo, perché essa avviene nel mondo e per il mondo, ed essa si fa nonostante ciò che esiste nel mondo, guerre, pestilenze, persecuzioni, invasioni, intolleranze, rivalità, musei, fastidio d’insetti, calura e siccità, gelo, mercato e critici d’arte, tirannie, mecenati, pop art, performance, ismi, plagi, grandezze e miserie. L’opera d’arte avviene nel vuoto, e in questo avvenire compie, per eccesso, l’offerta di sé, essa è allora ‘agape’, raccoglie in sé il mondo nel vuoto del suo rappresentarsi, si riempie del mondo. Facendola, l’artista si abbandona all’opera e l’opera lo abbandona.

Marco Bagnoli al Giardino di Boboli, Foto Carlo Cantini

Dagli assiri a Erodoto, da Ovidio a Dante, fino ai maestri dell’alchimia la mostra rivive negli interstizi di un passato leggendario, danno un nuovo volto ad uno dei luoghi più incantati di Firenze.

Foto by Carlo Cantini.

Via | davisefranceschini.it

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ultimo aggiornamento: 25-06-2013