Marina Abramovic, il suo nome risuona forte e chiaro, inciso a chiare lettere su cartelloni, affiche, presentazioni, muri e quant’altro. Eppure si tratta di un artista ben lontana dal collocarsi nell’iperuranio degli irraggiungibili. Nell’arte è il suo stesso corpo ad entrare in gioco, ridefinendo i confini dell’impegno e dando vita ad una creatività teatrale, che si dispiega ben oltre la normale preoccupazione preservativa che caratterizza il nostro “involucro carnale”, raggiungendo vette di sincerità espressiva che sorpassano persino la professionalità più estrema, sfociando nella volontà di donarsi. La performance tenutasi al MoMa di New York qualche anno fa, e ripresa nel documentario di Alexa Karolinski e Eva Munz, è un perfetto esempio di questo meccanismo di mimesi pro-attiva, che eleva lo spettatore disposto ad inoltrarsi nelle lande misteriose dell’animo dell’artista, ad elemento costitutivo di un’opera in divenire.
E’ così che ci avviciniamo alla sua presenza in uno “stato animo” talmente prossimo dell’annullamento da rivelare insperate energie umane, rivelazione di un concetto d’arte sincera e pronta a scarnificare se stessa fino all’estremo. Sorrisi, smorfie e lacrime, suscitate da un solo sguardo, perpetuato nella quasi totale immobilità silenziosa di un confronto, 7 ore e 1/2 consecutive, lungo 7 stremanti giorni, che vede seduti faccia a faccia allo stesso tavolo la Abramovic e il singolo che ha accettato di passare nello stretto corridoio formato da due artisti nudi. Un nuovo modo di entrare in contatto con il pubblico, tirando lo spettatore nel vivo dei suoi tormenti e delle sue tranquillità fuggitive e repentine. Presenti come lei ha scelto di farsi presente sul palcoscenico spurio dell’arte, molto spesso senza preoccuparsi di mettere in pericolo la sua stessa integrità fisica ed emozionale, e sempre oltre la preoccupazione del dolore, cercandolo e provocandolo persino, in una vetta importante, raggiunta dopo quarant’anni di volute che interrogano nel profondo la nostra capacità di vedere e di collocarci nel mondo.

Non voglio che il pubblico si accontenti di passare un po’ di tempo con me, voglio che la gente dimentichi il tempo. Quando si vive nel presente il tempo non esiste più, o almeno non più che la solitudine o la storia.

Via | arte.tv/fr/marina-abramovic-the-artist-is-present-au-moma

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ultimo aggiornamento: 29-07-2013