Quando si parla di Meret Oppenheim si finisce per parlare della sua vita stravagante quasi più che delle sue opere, se non fosse che la stravaganza accomuna sia l’una che le altre. Man Ray che le dedicò numerosi scatti nel 1933-34, facendola posare nuda nello studio di Louis Marcoussis, riassunse tutto il suo desiderio di libertà immortalandola nuda.

La mostra a Berlino ripercorre la lunga carriera di Meret Oppehneim conclusasi nel 1985 in Svizzera. Per farlo sono state riunite le opere da musei e istituzioni di tutto il mondo dai disegni alle sculture.
Meret Oppenheim, nata il 6 ottobre 1913 nel quartiere di Charlottenburg, era di famiglia ebraica e venne educata all’arte e alla poesia dalla nonna. L’educazione raffinata unita al temperamento turbolento la portano a decidere di abbandonare gli studi e di dedicarsi alla pittura, lavoro molto arduo per una donna. Per cui a soli 18 anni si trasferisce a Parigi dove entra nell’entourage di Andrè Breton e delle mostre dei surrealisti, fino al 1937. Nonostante la grande stima da parte dei surrealisti, mai si volle riconoscere in un movimento preciso, tanto che rimase delusa quando nel 1950, dopo dieci anni di assenza, Meret tornò a Parigi e si rese conto che alcuni dei suoi vecchi amici erano rimasti imbrigliati nelle regole del movimento artistico.

Le opere La Mia Tata assemblaggio di un paio di scarpe col tacco costrette su di un piatto come cosce di pollo, o Colazione in Pelliccia in cui rivestì di un’elegante pelliccia di gazzella cinese una tazzina di caffè, o Guanti di Pelliccia sono opere “vestite”, nate dall’idea dell’artista per liberare gli oggetti dal loro conformismo, per divertire e per provocare. Le opere sono un mix di design arte e moda, campi di cui Meret si giostrava con passione, in cui la natura unita all’oggetto di uso comune significava liberazione, travestimento con cui confondere simboli e smascherare il conformismo sessuale. Queste “idee abbigliate” erano in contrasto con l’universo maschile razionale e freddo, esprimendole con un particolare gusto estetico e una concezione quasi ascetica dell’arte: catturando dai sogni e dall’inconscio la propria sostanza, l’arte si liberava con Meret da ogni categorizzazione per essere universale.

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ultimo aggiornamento: 21-08-2013