“Fiction e spettacolo”, queste le parole con le quali Ai Weiwei, nota voce critica del mondo artistico, apparsa a più riprese tra le nostre pagine, e osannata all around the world (anche all’ultima Biennale di Venezia, dalla quale proviene l’immagine della riproduzione che illustra il momento dell’arresto) descrive il processo a Bo Xilai, alto dirigente cinese accusato di corruzione ed abuso di potere e processato la scorsa settimana. A partire da un articolo diffuso mercoledì 28 agosto dall’agenzia Bloomberg, le dichiarazioni dell’artista sono come uno schiaffo, che spazza via l’ipocrisia di certi dettami formali locali:

…la nuova direzione ha tentato di sostenere questa fiction e d’apparire aperta e fiduciosa dinanzi al suo popolo (…) ma alla fine questi sforzi sono andati in fumo.

Perché, come non manca di sottolineare lo stesso, Ai Weiwei ingiustamente detenuto nel 2011 in Cina, dichiaratosi colpevole di illeciti fiscali sotto tortura, e collocato al centro di un vero e proprio movimento di protesta che si serve dei canali dell’arte per propagare il suo messaggio, nella società attuale, sempre più aperta e legata ai social network, tra i quali annovera anche Weibo, il Twitter cinese, anche il regime comunista non può più permettersi di ricorrere alla giustizia-express del passato ed è obbligato mediaticamente, soprattutto alla luce del ruolo di rilievo che il paese occupa sulla scena internazionale, a dare l’illusione di “una società governata dallo Stato di diritto”. L’ennesimo atto di protesta insomma, che si inserisce nel medesimo filone già solcato a più riprese, che permette ad uno dei pechinesi più noti del pianeta, di affrontare senza paura i suoi carcerieri, oppressori di un intero popolo, non solo attraverso video, foto, installazioni e sculture.

Foto by GABRIEL BOUYS/AFP/Getty Images. Tutti i diritti riservati.

Via | lemonde.fr/asie-pacifique

Riproduzione riservata © 2024 - PB

ultimo aggiornamento: 29-08-2013