Il termine greco hybris indica tracotanza, un eccesso di superbia compiuto contro le stesse leggi che governano il mondo. Un peccato che si incarna nelle azioni compiute dal singolo uomo che disprezza i propri limiti e se ne fa gioco, noncurante della vendetta divina che si scatenerà su di lui e la sua stirpe.
Partendo da questa prospettiva, Peter Greenaway ha individuato in un elemento architettonico come la torre – simbolo maschile di potenza ‘fallica’ e di elevazione, l’ambito della sua ricerca artistica a Lucca. The Towers/Lucca Hubris è un’indagine storica condotta in 14 episodi, 14 storie ambientate in una Lucca medievale e raccontate con suoni, parole ed immagini. Sia ben chiaro, non siamo al cinema, ma in una delle (tante) splendide piazze di Lucca, e la luce sparata da due potenti videoproiettori colpisce il marmo bianco facendolo brillare. Tutt’intorno un pubblico variopinto, un pubblico allargato rispetto ai confini tradizionali dell’arte. Non solo appassionati di cinema, videoarte e performance, ma anche vecchi e bambini, turisti e cittadini. C’è chi cammina per scoprire nuovi punti di vista, chi sta seduto a pochi metri dalla chiesa in cerca di un qualche “abbaglio”. Chi parla e commenta, esaltato, rammaricato, colpito nell’orgoglio.

Tutto questo non è cinema, è qualcosa di più e qualcosa di meno. Storie a volte solo accennate, appena evocate, che sembrano essere rimaste addormentate sotto la coltre di polvere della città dalle cento chiese. Perché sono storie scabrose, storie di pazzi e di nudità, non solo corporee, ma soprattutto nudità d’animo, d’intenti. Storie di peccati mortali che abitano in molte città, ma che colpiscono ancor più a fondo Lucca, la città della gentilezza, del garbo e dell’ossequiosa devozione cristiana.
C’è l’amore incestuoso della Contessa Verrachi per il fratello, che la costrinse a murarsi viva nella Torre Nera. C’è la storia di un marito, Leone Morgantini, che costruì per la moglie troppo ambiziosa e spendacciona una torre poco resistente, sperando che crollasse.

Foto di Carlo Valentini

[blogo-gallery id=”124281″ photo=”2-5″ layout=”slider”]
Sono immagini che Greenaway ha girato nello spazio SPAM di Lammari, con i performer di Aldes di Roberto Castello (autore delle coreografie) utilizzando videocamere 5K, montandole alla ‘sua maniera’, intervallate nei livelli del compositing (la stratificazione) a disegni, schizzi, calligrafia e animazioni tridimensionali.
Il risultato è sicuramente barocco, ‘ingombrante’, ma allo stesso tempo ricco di suggestioni. Greenaway non vuole soltanto raccontare delle storie, ma soprattutto scardinare le meccaniche della visione, a partire dalla cornice, lo schermo di proiezione.
Proprio contro le dinamiche dello show business, la staticità della visione ‘monosensoriale’ delle sale cinematografiche, si scaglia Greenaway nella sua lectio magistralis presso l’Auditorium della Banca del Monte di Lucca. Oggi infatti, con uno smartphone ed un computer portatile, tutti sono potenzialmente dei registi e possono produrre materiale di alta qualità. Il problema, secondo il maestro di Newport, è che l’industria cinematografica esiste per ‘fare soldi’ e non per ‘fare cinema’. Da qui nasce la mancanza di energia, la scomparsa della sperimentazione nel cinema mondiale, che si affida allo storytelling lineare in nome di un’episodica sicurezza economica. Da qui nasce la necessità di Greenaway di rivolgersi a gallerie, musei e fondazioni, per potersi esprimere e lavorare.

Foto di Carlo Valentini

E i lucchesi che ne pensano dell’opera di Greenaway? Proprio un concittadino, Nicola Borrelli (ideatore del del Lucca Film Festival) è stato tra gli organizzatori del progetto, prodotto da Change Performing Arts Milano e sostenuto dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca.
Nella pagina di uno dei principali rotocalchi culturali online del capoluogo toscano, Lo Schermo.it, i lucchesi si dividono a metà tra commenti positivi e negativi. L’arte – si sa, anche quando è per tutti, non è per tutti.

Riproduzione riservata © 2024 - PB

ultimo aggiornamento: 24-09-2013