Il conseguimento di una laurea in un’università statale è il percorso della maggior parte dei ragazzi italiani che studiano per poter entrare nel vivo di un Italia ricca di “risorse”. Per le facoltà di Beni Culturali, Storia dell’Arte, Archeologia e affini l’università statale presenta le solite pecche: offre molto studio teorico, anche con ottimi insegnanti, ma propone poca pratica e nessun orientamento nel mondo del lavoro, con il risultato che il post-laurea è un tentativo di auto-orientamento per trovare il proprio indirizzo di competenza. Il web non è d’aiuto, in quanto i classici portali sul lavoro dell’arte sono “aggiornati” al 2008. Fin qui niente di nuovo se non la completa confusione che si comincia da subito a respirare su ruoli, contratti, orari di lavoro, competenze, guadagni, luoghi preposti alla cultura (accessibili ai più solo quelli privati). Dopo un anno (due, tre…) di esperienza (per i più fortunati anche all’estero per rimpolpare il famoso cv), si ha da subito l’impressione di aver imboccato una strada avventurosa da paese delle meraviglie.

E mentre in tutta Europa si parla di Turismo Sostenibile e di Ecoturismo, con un occhio alla Cina e alla Turchia che ogni anno incrementano il turismo del 60% mentre noi di misere cifre decimali, in Italia facciamo fronte a crolli e chiusure di siti archeologici e musei, che almeno i laureati in facoltà umanistiche dovranno sbrigarsi a visitare, possibilmente entro il 26esimo anno di età per avere l’unica riduzione possibile per l’ingresso. Una situazione che tutti ormai conoscono, che va ad alimentare la retorica di politici e politicanti ma che rimane fin’ora retorica. Un pò deprimente, con un Italia che nel 2015 sarà la protagonista dell’Expo e che è citata all’estero a dispetto di chi li definisce luoghi comuni, per il cibo il sole e l’arte del passato.

Giorni fa sul Corriere della Sera, Massimo Gaggi ha scritto un articolo dal titolo Cercare un lavoro con la laurea in arte ; la frase di Obama sugli studi umanistici è stata l’ispirazione e fa da incipit all’articolo:

Una laurea in storia dell’arte? Meglio andare a lavorare nelle fabbriche

Le scuse del presidente saranno bastate alla popolazione americana che è tra gli estimatori e sostenitori più importanti dell’arte italiana? Nell’articolo non poteva mancare la frase cult “con l’arte non si mangia” di Giulio Tremonti e la situazione delle università italiane con numeri sempre più bassi di iscritti. Fortunatamente l’articolo si conclude così:

Oggi facoltà artistichè e corsi post-universitari sono frequentati da ragazzi determinati che lavorano sodo. Sanno che anche l’arte può rendere, magari attraverso le gallerie, le riviste specializzate, le case d’aste.

Finalmente a qualcuno viene il dubbio che studiare Beni Culturali e arte non significa studiare i sentimenti dell’artista e che non lo si fa per vocazione. La frase di Obama implode in se stessa con una piccola scoperta in più: che anche la cultura è un’azienda. Azienda potrebbero essere i musei, i siti archeologici e le gallerie comunali, ma anche le case editrici, discografiche, i teatri, le biblioteche e i servizi didattici annessi. Aziende, proprio come quelle al centro dello Jobs Act di Matteo Renzi. Come non percepirlo quando visiti palazzi storici statali con ricche e importanti collezioni attorniate da ettari di giardini e ancor di più da paesaggi meravigliosi? Le figure da poter impiegare andrebbero dall’ingegnere, allo storico dell’arte, al catalogatore, al giardiniere.

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Con la protesta NO ai 500 Schiavi nel Mibact, l’attenzione si era spostata su chi attende da anni concorsi statali per un impiego “normo-retribuito”, una modalità subito demodè per il sindaco di Roma Ignazio Marino che ha varato la proposta di impiegare clochard nelle biblioteche. Ad una moltitudine di giovani, che ha svolto impieghi di catalogazione gratis per più di due anni nelle biblioteche statali, che pur di non essere oggi alla ricerca di un nuovo “hobby culturale” sarebbero contenti di essere impiegati in qualsiasi ruolo in biblioteca e ai neolaureati, la proposta potrebbe apparire come una provocazione.

In ogni luogo di cultura statale il personale è ridotto all’osso: i “superstiti” sono entrati con concorsi del 1986, mentre i nuovi sono inesistenti; la flessibilità, richiesta alle nuove generazioni come il pane, per quelle lavoratrici più anziane è solo una parola, i soldi per le esposizioni temporanee irrisorie, le sale visitabili chiuse, i siti web non aggiornati, il personale non specializzato e non solo non conosce l’inglese ma è anche disinteressato all’arte con conseguente difficoltà nel dare informazioni agli ormai sparuti turisti stranieri; all’interno le luci sono insufficienti, per un maggiore risparmio energetico, a volte ad intermittenza, poca pubblicità sul museo, inefficienza dei servizi esterni; inoltre il lavoro grava su poche persone che non potendosi avvalere di giovani collaboratori rischiano di dare un’ offerta culturale al di sotto delle potenzialità e i servizi per disabili solo un miraggio. Alla luce di tutto questo chi si laurea in Beni Culturali, Editoria, Storia dell’Arte, Archeologia, Biblioteconomia, da “operai della cultura” (come mi piace definirci), diventa laureato a spasso. Mentre il ministro dei Beni Culturali Dario Franceschini si inorgoglisce della nuova azione di 135 milioni di euro da varare per i siti archeologici del sud Italia: Campania, Calabria, Puglia, Sicilia, soldi che si sa quando arrivano e non si sa dove finiscono, il pensiero va a tutti gli altri siti che “sopravvivono” con difficoltà e nel frattempo si incamminano verso un declino di cui nessuno vuol sapere nulla, testimoni tristi e fissi di un Paese che per risolvere il problema può invece spostarsi altrove.

Nel settore privato è un vero caos: le gallerie soffocate dalle tasse, dalle spese e dalla burocrazia e non sostenute da finanziatori e sponsor, si avvalgono gratuitamente di “aiuti”. Servirebbero figure fisse, competenti o da formare, che però sono costrette a rinunciare dopo aver appreso il necessario. Per l'”aiuto” non servono nemmeno lauree particolari: laureato in Scienze Sociali, Psicologia, o Curatore d’arte è la stessa cosa e nel migliore dei casi basta anche un qualsiasi diploma. Servirebbero invece addetti ai comunicati stampa, ricercatori, addetti ai servizi di ufficio stampa e di ricerca sponsor, grafici web o editoriali, catalogatori, segretari di direzione artistica, addetti alla didattica dell’arte; risorse, insomma, che svolgano sia lavori pratici che intellettuali. Molte associazioni culturali per ora si stanno prendendo carico di siti archeologici e beni culturali locali senza nessun sostegno.

Nell’arte come in molti settori servono figure professionali specifiche e riconosciute, serve la comunicazione, la collaborazione interna ed esterna con la popolazione che potrebbe usufruire della cultura nel tempo libero. All’arte servono i viaggiatori italiani e stranieri che continuino ad apprezzarla, ma anche un “sistema dell’arte” che dovrebbe essere caratterizzato non solo dalla passione, ma da competenza, organizzazione, fondi da investire e criteri di modernità in linea con l’Europa e con il mondo.

Il timore è che tutta questa bellezza sia diventata, al di là della crisi, bellezza dell’indifferenza con il rischio di rimanere solo indifferenza, condita da risposte alla “ci stiamo lavorando”. A chi cerca un lavoro nell’arte rimane per ora la soddisfazione di uscire vivi ( e determinati aggiungo io) da “una guerra tra poveri” come spesso si sente dire dai veterani del settore. Sono sicura che molti sanno di cosa sto parlando!

Foto| Fai, Lo Diresti al tuo antennista, casertanews, blarco.com

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ultimo aggiornamento: 13-03-2014