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La traccia di tipologia B (saggio breve o articolo di giornale) proposta per l’ambito artistico-letterario, in questa Maturità 2014, è il dono, da analizzare sia con brani tratti da autori (quali Grazia Deledda, Theodor W. Adorno, Marco Aime e Anna Cossetta, Mark Anspach ed Enzo Bianchi) sia con riferimenti iconografici.

La traccia

«La madre aveva steso una tovaglia di lino, per terra, su una stuoia di giunco, e altre stuoie attorno. E, secondo l?uso antico, aveva messo fuori, sotto la tettoia del cortile, un piatto di carne e un vaso di vino cotto dove galleggiavano fette di buccia d?arancio, perché l?anima del marito, se mai tornava in questo mondo, avesse da sfamarsi. Felle andò a vedere: collocò il piatto ed il vaso più in alto, sopra un?asse della tettoia, perché i cani randagi non li toccassero; poi guardò ancora verso la casa dei vicini. Si vedeva sempre luce alla finestra, ma tutto era silenzio; il padre non doveva essere ancora tornato col suo regalo misterioso. Felle rientrò in casa, e prese parte attiva alla cena. In mezzo alla mensa sorgeva una piccola torre di focacce tonde e lucide che parevano d?avorio: ciascuno dei commensali ogni tanto si sporgeva in avanti e ne tirava una a sé: anche l?arrosto, tagliato a grosse fette, stava in certi larghi vassoi di legno e di creta: e ognuno si serviva da sé, a sua volontà. […] Ma quando fu sazio e sentì bisogno di muoversi, ripensò ai suoi vicini di casa: che mai accadeva da loro? E il padre era tornato col dono? Una curiosità invincibile lo spinse ad uscire ancora nel cortile, ad avvicinarsi e spiare. Del resto la porticina era socchiusa: dentro la cucina le bambine stavano ancora intorno al focolare ed il padre, arrivato tardi ma sempre in tempo, arrostiva allo spiedo la coscia del porchetto donato dai vicini di casa. Ma il regalo comprato da lui, dal padre, dov?era? – Vieni avanti, e va su a vedere – gli disse l?uomo, indovinando il pensiero di lui. Felle entrò, salì la scaletta di legno, e nella cameretta su, vide la madre di Lia assopita nel letto di legno, e Lia inginocchiata davanti ad un canestro. E dentro il canestro, fra pannolini caldi, stava un bambino appena nato, un bel bambino rosso, con due riccioli sulle tempie e gli occhi già aperti. – È il nostro primo fratellino – mormorò Lia. – Mio padre l?ha comprato a mezzanotte precisa, mentre le campane suonavano il “Gloria”. Le sue ossa, quindi, non si disgiungeranno mai, ed egli le ritroverà intatte, il giorno del Giudizio Universale. Ecco il dono che Gesù ci ha fatto questa notte.»
Grazia DELEDDA, Il dono di Natale, 1930, in G. D., Le novelle, 4, La Biblioteca dell?identità de L?Unione Sarda, Cagliari 2012

«Gli uomini disapprendono l?arte del dono. C?è qualcosa di assurdo e di incredibile nella violazione del principio di scambio; spesso anche i bambini squadrano diffidenti il donatore, come se il regalo non fosse che un trucco per vendere loro spazzole o sapone. In compenso si esercita la charity, la beneficenza amministrata, che tampona programmaticamente le ferite visibili della società. Nel suo esercizio organizzato l?impulso umano non ha più il minimo posto: anzi la donazione è necessariamente congiunta all?umiliazione, attraverso la distribuzione, il calcolo esatto dei bisogni, in cui il beneficato viene trattato come un oggetto. Anche il dono privato è sceso al livello di una funzione sociale, a cui si destina una certa somma del proprio bilancio, e che si adempie di mala voglia, con una scettica valutazione dell?altro e con la minor fatica possibile. La vera felicità del dono è tutta nell?immaginazione della felicità del destinatario: e ciò significa scegliere, impiegare tempo, uscire dai propri binari, pensare l?altro come un soggetto: il contrario della smemoratezza. Di tutto ciò quasi nessuno è più capace. Nel migliore dei casi uno regala ciò che desidererebbe per sé, ma di qualità leggermente inferiore. La decadenza del dono si esprime nella penosa invenzione degli articoli da regalo, che presuppongono già che non si sappia che cosa regalare, perché, in realtà, non si ha nessuna voglia di farlo. Queste merci sono irrelate come i loro acquirenti: fondi di magazzino fin dal primo giorno.»
Theodor W. ADORNO, Minima moralia. Meditazioni della vita offesa, trad. it., Einaudi, Torino 1994 (ed. originale 1951)

«La Rete di certo promuove la diffusione di una nuova cultura del dono, dello scambio reciproco (o quasi). Possiamo percorrere strade aperte, sconfinate, che offrono nuove possibilità di stabilire contatti e anche di dare vita a forme di aggregazione fondate sostanzialmente sul dono, ma che rimangono racchiuse in piccole nicchie, microcosmi con cui giocare o dove si può apprendere, nei quali ci si mostra, si costruiscono e si modificano identità, si condividono interessi, si elaborano linguaggi. Un dono costretto quindi dentro piccole mura fatte di specchi, trasparenti, che riflettono e amplificano la luce e i legami, ma che non sempre riescono a sopravvivere alle intemperie, agli improvvisi venti del mondo contemporaneo. E quando si spezzano, non si può fare altro che costruire qualcosa di simile, un po? più in là. Una delle caratteristiche della Rete è quella di dare vita a comunità immaginate, che non sempre necessitano di relazioni tra gli individui.»
Marco AIME e Anna COSSETTA, Il dono al tempo di Internet, Einaudi, Torino 2010

«Difficilmente si diventa una persona generosa da soli: la generosità è una cosa che si impara. […] Quando un dono s?inserisce in una catena di reciprocità generalizzata, si lascia meno facilmente interpretare come un fenomeno puramente individualistico e interessato. Nel caso di una reciprocità diretta, invece, la tentazione è forte di assimilare lo scambio di doni a una variante dello scambio mercantile. […] È così che, in un mercoledì del mese di luglio 2007, Barbara Bunnell diventa la prima paziente nella storia a ricevere un rene all?interno di una catena di reciprocità generalizzata. Dopo che il primo donatore regala il suo rene a Barb, Ron Bunnell, il marito di Barb, darà un suo rene ad Angela Heckman; poi la madre di Angela darà un suo rene a qualcun altro ancora, e così via, in una catena continua che aiuterà altre sette persone. All?inizio di questa catena c?è un giovane uomo, Matt Jones, che accetta di donare un rene “senza perché”; cioè non per salvare dalla dialisi una persona cara, ma solo per la gioia di aiutare sconosciuti.»
Mark ANSPACH, Cosa significa ricambiare? Dono e reciprocità, in AA.VV., Cosa significa donare?, Guida, Napoli 2011

«Da una lettura sommaria e superficiale si può concludere che oggi non c?è più posto per il dono ma solo per il mercato, lo scambio utilitaristico, addirittura possiamo dire che il dono è solo un modo per simulare gratuità e disinteresse là dove regna invece la legge del tornaconto. In un?epoca di abbondanza e di opulenza si può addirittura praticare l?atto del dono per comprare l?altro, per neutralizzarlo e togliergli la sua piena libertà. Si può perfino usare il dono – pensate agli «aiuti umanitari» – per nascondere il male operante in una realtà che è la guerra. […] Ma c?è pure una forte banalizzazione del dono che viene depotenziato e stravolto anche se lo si chiama «carità»: oggi si «dona» con un sms una briciola a quelli che i mass media ci indicano come soggetti – lontani! – per i quali vale la pena provare emozioni… Dei rischi e delle possibili perversioni del dono noi siamo avvertiti: il dono può essere rifiutato con atteggiamenti di violenza o nell?indifferenza distratta; il dono può essere ricevuto senza destare gratitudine; il dono può essere sperperato: donare, infatti, è azione che richiede di assumere un rischio. Ma il dono può anche essere pervertito, può diventare uno strumento di pressione che incide sul destinatario, può trasformarsi in strumento di controllo, può incatenare la libertà dell?altro invece di suscitarla. I cristiani sanno come nella storia perfino il dono di Dio, la grazia, abbia potuto e possa essere presentato come una cattura dell?uomo, un?azione di un Dio perverso, crudele, che incute paura e infonde sensi di colpa. Situazione dunque disperata, la nostra oggi? No! Donare è un?arte che è sempre stata difficile: l?essere umano ne è capace perché è capace di rapporto con l?altro, ma resta vero che questo «donare se stessi» – perché di questo si tratta, non solo di dare ciò che si ha, ciò che si possiede, ma di dare ciò che si è – richiede una convinzione profonda nei confronti dell?altro. Donare significa per definizione consegnare un bene nelle mani di un altro senza ricevere in cambio alcunché. Bastano queste poche parole per distinguere il «donare» dal «dare», perché nel dare c?è la vendita, lo scambio, il prestito. Nel donare c?è un soggetto, il donatore, che nella libertà, non costretto, e per generosità, per amore, fa un dono all?altro, indipendentemente dalla risposta di questo. Potrà darsi che il destinatario risponda al donatore e si inneschi un rapporto reciproco, ma può anche darsi che il dono non sia accolto o non susciti alcuna reazione di gratitudine. Donare appare dunque un movimento asimmetrico che nasce da spontaneità e libertà.»
Enzo BIANCHI, Dono. Senza reciprocità – Festival filosofia – Carpi, 16/09/2012 – http://www.vita.it/non-profit/volontariato

Svolgimento

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Ci si interroga da secoli sul dono, e conseguentemente sull’atto del donare, perchè a pensarci bene si tratta di un’azione umana di cui non si riesce a trovare una spiegazione. Al di là dalla mercificazione legata a ricorrenze, più o meno religiose, il punto su cui si è sempre dibattuto è se possa esistere un dono veramente disinteressato. Ne parla proprio Enzo Bianchi, priore della comunità monastica di Bose, nel suo intervento “Dono. Senza reciprocità”, la lezione magistrale che ha tenuto nella giornata conclusiva del Festival Filosofia di Modena, Carpi e Sassuolo edizione 2012.

Se la Donazione di Costantino, il fasullo documento risalente al 1248 che giustificava il potere temporale a Papa Silvestro I e ai suoi successori, o per lo meno, che lo ha giustificato finchè non ne è stata scoperta la falsità, può essere la perfetta metafora di ciò che è il dono ‘con interesse’ (il fine giustifica i mezzi, si dice, e in questo caso ha giustificato un potere basato sulla menzogna), ci si interroga sul ruolo moderno del dono, all’interno di una società individualista, in cui il successo personale – e qui ritorna se vogliamo il fine che giustifica i mezzi – è il traguardo più alto da raggiungere, garanzia di felicità e piena soddisfazione agli occhi del mondo.

Siamo arrivati al punto che qualsiasi dono insospettisce, a maggior ragione se fatto con apparente disinteresse, perchè siamo abituati ad una scala di valori basata sul ‘do ut des’, e le nostre e altrui azioni vengono confrontate secondo quel, purtroppo ingabbiante, schema mentale. Decidere di donare senza nulla in cambio è sicuramente un atto “eversivo”, citando le parole di Bianchi.

Non è facile però scegliere di non seguire le regole prefissate per la piena autorealizzazione, secondo lo schema di valori imperante in questa perversa era post consumistica: e una volta fatto, siamo sicuri di essere davvero disinteressati?

Nell’ottica cristiana l’evento della nascita di Cristo – omaggiato a sua volta dai Magi con ‘doni’ – viene spiegato come il dono supremo che Dio ha deciso di fare all’umanità. Un atto di amore assoluto, totalmente disinteressato, e proprio sul ‘debito d’amore’ si basa – sempre a detta di Bianchi – il gesto del dono tout court.

Ma provare a uscire dall’ambito religioso (che di fatto, riesce a trovare una soluzione) è la sfida più interessante: al di là dell’amore cristiano, si può donare, nel senso più assoluto possibile, senza nessun tipo di interesse?

Marco Aime e Anna Cossetta tirano in ballo un esempio calzante nel loro “Il dono al tempo di Internet”: come si può collocare in quest’ottica un fenomeno come il filesharing? Chi carica illegamente materiale sul web infatti, non cerca un tornaconto economico. Quindi perchè lo si fa? Il gesto non si spiega in effetti, se non con la ricerca di qualcosa: nel nostro caso, della relazione con gli altri.

Aspetto presente anche nella spinta altruistica che muove il volontariato: la gioia per aver donato, nel caso specifico un bene immateriale, ad altri, cercare una relazione con il mondo, senza un tornaconto di interesse, in una società dominata dall’arroganza del singolo, è decisamente questo l’esito più ‘trasgressivo’ che esista.

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ultimo aggiornamento: 18-06-2014