Il natale delle donne afghane
In questo momento dell’anno in cui i più fortunati sono immersi in pensieri gioiosi pieni di colori e lustrini ci si dimentica di quella parte di mondo continuamente in ombra. A pochi giorni dalla conclusione della campagna internazionale contro la violenza sulle donne è stato pubblicato il rapporto UNAMA, la missione di assistenza Onu in
In questo momento dell’anno in cui i più fortunati sono immersi in pensieri gioiosi pieni di colori e lustrini ci si dimentica di quella parte di mondo continuamente in ombra. A pochi giorni dalla conclusione della campagna internazionale contro la violenza sulle donne è stato pubblicato il rapporto UNAMA, la missione di assistenza Onu in Afghanistan.
Aisha Bibi è una giovane afghana di 19 anni molto fortunata, e non perché il Times le ha dedicato una copertina. Vittima di una violenza familiare, l’anno scorso aveva tentato di scappare per sottrarsi a quel matrimonio imposto dalla famiglia con un combattente talebano. La fuga purtroppo non fu tale e dopo averla ripresa, il marito le tagliò naso e orecchie. Per questa mutilazione che trovò il beneplacito del mullah locale, Aisha rischiò di morire ma la sorte ha voluto che qualcuno l’aiutasse a sopravvivere ed a restituirle il volto.
A nove anni dall’inizio della guerra ai talebani, la condizione delle donne (uno dei tanti motivi che giustificavano l’invasione) rimane drammatica registrando scarsissimi miglioramenti. Ancora oggi sono largamente praticati i matrimoni forzati e quelli di scambio, i delitti d’onore e la vendita delle figlie. Allo stesso tempo è stato riscontrato un altissimo tasso di suicidi, dovuti principalmente alla pratica dei matrimoni forzati, ovvero il 57% delle unioni, nelle quali uno degli sposi ha meno di 16 anni. In una percentuale incalcolabile le donne tentano di togliersi la vita dandosi fuoco.
Nonostante i recenti inasprimenti delle leggi a tutela delle donne, come per esempio quella contro la violenza sulle donne ignorata con disinvoltura nelle zone rurali, il governo fa ben poco per contrastare questi abusi, a tal punto che rimangono diffusi in tutto il Paese “causando sofferenze, umiliazioni e marginalizzazioni a milioni di donne e fanciulle afghane, impedendo parallelamente alla società di progredire”.
“Se colpisci una bambina col cappello e quella non cade, è ora di darle un marito“. Le tradizioni sono dure a morire, almeno così si dice, e purtroppo quella del “baad”, benché violino anche i principi della legge islamica, conferma la regola: le bambine vengono cedute in matrimonio, come fossero vere e proprie mercanzie, per risolvere dispute tra famiglie nemiche. Esempio: invece di punire un ladro o un assassino, una bambina sua parente viene data via e condannata a una vita di violenza e oppressione, non andrà a scuola e avrà notevoli danni alla salute.
Eppure una legge c’è. Nel 2009 la legge contro la violenza sulle donne è entrata in vigore e vieta espressamente di vendere le bambine come mogli, considera reato il matrimonio forzato e la segregazione delle donne, contempla il reato di istigazione al suicidio per immolazione e prevede sanzioni per chi non manda a scuola le bambine.
Applicare la legge diventa praticamente impossibile, perché la polizia considera queste “questioni private” ed è sempre disposta a perseguitare le donne che disobbediscono ai mariti e alle famiglie. E’ così che nascono i famosi “crimini morali”.
L’Afghanistan è lontano, è vero, pur volendo possiamo solo sostenere queste cause e contribuire a diffondere una cultura più civile e a non alimentare violenza. Però casa nostra è vicina, molto vicina. Ciascuno di noi può fare qualcosa ogni giorno: diamo il buon esempio, rispettiamo le nostre donne e aiutiamo quelle in difficoltà.