Gli appassionati di Tim Burton per le vacanze natalizie hanno avuto un regalo: il nuovo film Big Eyes, sulle vicende personali e giudiziarie della pittrice Margaret Keane e di suo marito Walter. I “grandi occhi” sono quelli “derelitti” (come sono stati soprannominati) di tutti i bambini trovatelli protagonisti assoluti delle sue tele. I loro occhi sproporzionati che ne enfatizzano i sentimenti, la presenza di teneri gattini a loro fianco, che arrivano dritti all’emotività degli osservatori, hanno trasformato un’artista amatoriale in uno dei fenomeni più apprezzati degli anni ’60. Il film, che i critici cinematografici hanno apprezzato meno rispetto ai capolavori precedenti di Tim Burton, si concentra sulla genesi dell’arte di Margaret e sul caso giudiziario più famoso dell’America di quegli anni, che coinvolge il marito, sullo sfondo di un clima culturale ed artistico dominato dall’arte astratta.

Nel film figurazione contro astrazione, mercato dell’arte e critici intransigenti, marketing e consumismo, moda e fortuna critica, sono le tematiche che danno sapore alle vicende personali di Margaret, con riferimenti continui alla rivoluzione artistica che Warhol portò successivamente in America. Alla sua arte nemmeno Warhol ne fu indifferente: il film inizia infatti con la sua dichiarazione:

Penso che ciò che Keane ha fatto è incredibile! Se fosse cattivo, così tante persone non piacerebbe

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Ricostruire la storia di Margaret Keane è stato possibile per gli attori, grazie ai racconti della pittrice che oggi ad 87 anni conserva una tempra poetica e concreta nello stesso tempo. Nata nel 1927 nel Tennessee, Margaret studiò in giovane età all’accademia d’arte senza però mai credere fortemente in se stessa. Il divorzio la mise di fronte alla necessità di un guadagno. Fu proprio in un mercatino di ambulanti dove decise di racimolare qualche soldo per lei e la figlia che incontrò Walter Keane un fantomatico pittore di vedute francesi. Il loro matrimonio e le tecniche di vendita e marketing del marito hanno dato il via ad un iniziale sodalizio e ad una vera e propria moda, sfociata nell’apertura di una galleria d’arte e nell’idea di riprodurre in serie i dipinti. Ma per l’opinione pubblica fu Walter il vero padre delle opere, lasciando nell’ombra Margaret. L’amore per Modigliani e gli impressionisti, per il Rinascimento italiano e per Picasso, condensati nella personalità taciturna di Margaret e nelle sue semplici opere, furono spazzati via dalle leggi del mercato dell’arte, dove facoltosi acquirenti si contendevano opere da sfoggiare.

La critica d’arte del tempo non fu clemente nei suoi confronti, definendola amatoriale, ripetitiva, una pittura superficiale e sommaria, ma il pubblico fu catturato dal modo diretto di comunicare emozioni attraverso gli occhi, elemento ipnotico ed espressivo. Oggi e ancor prima, dopo aver vinto la causa contro il marito per il riconoscimento della paternità delle opere, le sue tele continuano a piacere e ad arricchire le collezioni dei musei del Tennessee, Tokyo, California, Hawaii. Non è difficile credere che la sua galleria la Keane Eyes Gallery , aperta nel 1992, sia stata un punto di riferimento per il filone del Pop Surrealism, la lowbroad art, nata in California, la cui influenza stilistica è evidente nelle opere di Mark Ryden, nei giocattoli e nei cartoon giapponesi.

Tim Burton e la storia di Margaret Keane

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ultimo aggiornamento: 04-01-2015