L’uomo che mena non ama.

Molti ricorderanno le parole conclusive di Luciana Littizzetto che nell’ultimo Festival di Sanremo, con un monologo appassionato e intenso, ha voluto celebrare con parole e danza il One billion rising, la giornata mondiale contro la violenza sulle donne.

Tema appassionante che non tende a passare mai in secondo piano, perché mai è stato risolto. La violenza nei confronti delle donne, anche in un’era moderna come quella attuale, rimane al centro del nostro mondo, fardello insopportabile per il vissuto di tutte coloro che continuano a subire abusi. Spesso in casa, e quindi da coloro che amano. Un amore malato, un amore che non si può definire tale.

Oggi, però, proviamo a vedere questo amore – che nel caso specifico non si può certamente definire tale – da un punto di vista differente: cosa scatta nella mente, e nelle azioni, di quegli uomini che perpetrano atti violenti nei confronti delle loro donne? Questa domanda è alla base dell’idea principale messa su da Besame Mucho che oggi ha dato il via ad un progetto che vuole andare più lontano, che intende guardare la violenza dal punto di vista di chi abusa.

Possibile, giusto, ingiusto, fuori luogo? Guardate il filmato e cerchiamo di capire…

Non ci potrà mai essere un benessere femminile, se non si capiranno le ragioni del malessere maschile. Perché un uomo per cercare di mantenere un proprio equilibrio, per trovare un proprio equilibrio, deve andare a scapito della propria compagna facendole del male?

Sono alcuni dei concetti che Marina Catucci – videomaker, critica cinematografica, giornalista -, impegnata a spiegare quale sarà il contenuto del documentario che è alla base del progetto di Besame Mucho, illustra per introdurre le finalità di tale lavoro. Anche un uomo, il mostro che picchia la sua compagna, sua figlia o sua madre, è stato un bambino. E’ stato una persona che ha dato e richiesto affetto… o invece no? Il risvolto psicologico è dunque alla base dell’annosa domanda: perché un uomo abusa di una donna?

Probabilmente chi le violenze le ha ricevute, e continua a riceverle, potrebbe essere poco interessata a conoscere questo aspetto. Gli abusi, le botte, le umiliazioni, il dolore la disperazione, i sensi di colpa immotivati, e il non vedere una via di uscita poco hanno a che fare con la psicologia.

Qualcun altro potrebbe pensare che si tratta di un alibi, che con la incapacità di intendere e di volere molti uomini violenti riescono, in sede giuridica, a cavarsela. Che non solo sfogano la loro rabbia e la loro pochezza con la brutalità nei riguardi di chi molto spesso si fida di loro, non sa o non può proteggersi. Non è facile, è pericoloso, potrebbe essere una maniera per produrre alibi, per rendere ancora più insidioso una piaga già così difficile da estirpare.

Potremmo, però, nonostante queste riflessioni e di un giustificato invito alla cautela, pensare a tutto questo come ad un’ulteriore possibilità: in fondo, anche se le cose sono radicalmente cambiate dai tempi che furono, non si è mai veramente riusciti a risolvere l’annosa questione della violenza ai danni del genere femminile. La donna ha ottenuto il diritto di voto, a parte rari casi ha accesso a tutte le professioni un tempo ritenute esclusivamente maschili, è indipendente e in grado di fare ogni cosa anche da sola. Però, spesso, non riesce o non vuole difendersi.

Se il punto di vista di Besame Mucho riuscisse a creare uno spunto diverso dal quale partire? Se il bambino abusato, riconosciuto come tale e aiutato nei tempi e con i modi giusti, riuscisse a diventare un uomo solido invece che una bestia ferita che ripaga con la violenza ricevuta chi ha la sola colpa di amarlo? In fondo se si è conosciuto l’odio e si è subita l’angheria, perché pensare che ci possa essere anche altro?

L’abuser è colui che ha bisogno di amore, e nella maggior parte dei casi è colui che riesce a conquistarlo con facilità, per poi pian piano ripagare tale sentimento con la violenza più sordida perché è quella che mina la fiducia di chi ha accanto. Può picchiare la sua donna, o anche non farlo mai ma ridurla ad uno stato mentale tale che lei sarà dipendente da lui in maniera malata e difficile da spezzare. Lei annullerà se stessa per compiacere lui. L’abuso peggiore, il più difficile da sfidare e vincere.

Una soluzione possibile, dunque, o solo un tentativo. Il documentario sarà girato negli Stati Uniti, paese di residenza di chi ha portato avanti il progetto, e verterà soprattutto su alcune interviste di cui saranno protagonisti gli ex abuser. Coloro che hanno deciso di porre fine a tale condizione intraprendendo un percorso terapeutico.

Uomini che hanno deciso di provare a cambiare, di curarsi, di intraprendere un percorso terapeutico che li ha fatti arrivare alla consapevolezza ed alla risoluzione del problema con se stessi prima che con la propria compagna. Questo, dunque, è il tema centrale del documentario che vuole dimostrare come si possa cambiare, ovvero:

quello dell’abusing non è un meccanismo irreversibile, ma un disordine mentale che può essere riordinato, non un cancro letale che non lascia scampo. Perché non può sparire questo problema – che è interculturale, trasversale, riscontrabile in ogni classe sociale e, con diverse sfumature, ad ogni latitudine – se non se ne comprendono le cause.

Via | besamemucho

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ultimo aggiornamento: 18-03-2013