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Boom per il fenomeno dello job hopping: ecco cos’è, i pro e i contro
Il fenomeno dello job hopping è sempre più diffuso: vediamo cos’è, perché va di moda e, soprattutto, quali sono i pro e i contro.
Dagli Stati Uniti, il fenomeno dello job hopping è arrivato anche in Italia. Anche se al momento sta rivoluzionando il mercato del lavoro, siamo pronti a scommettere che non avrà lunga vita. Vediamo cos’è e quali sono i pro e, soprattutto, i contro.
Job hopping: cos’è e perché va di moda
L’espressione inglese job hopping significa letteralmente saltare da un lavoro all’altro ed è proprio questo ciò che vuole indicare. Una vera e propria rivoluzione culturale, che coinvolge persone con un’età compresa tra i 27 e i 41 anni, i cosiddetti Millennial. I job hopper cambiano professione alla velocità della luce e per motivi diversi.
Secondo un rapporto pubblicato dal The Guardian, il 90% dei giovani rifiuta di mantenere un lavoro per più di cinque anni e il 37% preferisce rinunciare al secondo anno. Quanti ‘aderiscono’ al fenomeno dello job hopping non sono attaccati al ‘posto fisso’ come i loro genitori o nonni, ma hanno una visione molto diversa della stabilità lavorativa.
I job hopper si annoiano velocemente e tendono ad abbandonare facilmente ambienti sfavorevoli e ad alta pressione. Inoltre, hanno grande consapevolezza delle proprie competenze e abilità professionali e aspirano a ruoli imprenditoriali, o a situazioni in cui ci siano più benefit possibili.
Perché questo fenomeno va tanto di moda? La nuova forza lavoro, a differenza di quanto fatto da chi l’ha preceduta, è convinta che un curriculum ricco di esperienze consenta di ottenere retribuzioni sempre più alte.
I pro e i contro del “salto del lavoro”
Senza ombra di dubbio, il fenomeno dello job hopping consente di vivere tante esperienze diverse, sia sul piano professionale che su quello personale. Eppure, ci sono dei contro importanti, che vale la pena prendere in considerazione: poca specializzazione in un solo settore, mancanza di stabilità e senso di appartenenza e perdita di fiducia da parte delle aziende.
Perché un’azienda dovrebbe scegliere di puntare su una persona che sa già di dover perdere nel giro di uno, massimo due anni? In così poco tempo, quale specializzazione ha acquisito il lavoratore? Le domande sono tante, ma ai posteri l’ardua sentenza.