Nel giorno in cui ricade l’anniversario della sua morte, ecco un ricordo di Fabrizio De André con alcune delle frasi delle sue canzoni.

L’11 gennaio del 1999 Fabrizio De André lasciava questo mondo e lo faceva dopo essere diventato maestro della canzone italiana. Nel giorno di questo particolare anniversario vogliamo riportarvi alcune delle frasi celebri delle sue canzoni.

Fabrizio De André: frasi delle sue canzoni

chitarra
chitarra

Da ‘La guerra di Piero‘: “Ninetta mia, crepare di Maggio ci vuole tanto troppo coraggio. Ninetta bella, dritto all’inferno avrei preferito andarci in inverno”.

Per i tuoi larghi occhi‘: “E se tu tornerai t’amerò come sempre ti amai, come un bel sogno inutile
che si scorda al mattino”.

Bocca di rosa‘: “C’è chi l’amore lo fa per noia. Chi se lo sceglie per professione. Bocca di rosa né l’uno né l’altro. Lei lo faceva per passione”.

Don Raffae”: “Ah, che bell’ ‘o cafè. Pure in carcere ‘o sanno fa. Co’ a ricetta ch’a Ciccirinella. Compagno di cella, c’ha dato mammà”.

Amico fragile‘: “Pensavo: è bello che dove finiscono le mie dita debba in qualche modo incominciare una chitarra”.

Dicono di lui: parlano gli amici

Sul sito ufficiale fabrizioedeandre.it è possibile leggere anche un ricordo dell’artista con le parole degli amici.

In modo particolare vogliamo riportarvi le dichairazoni di Fernanda Pivano: “C’era una volta un bambino bellissimo. Era biondo. Gli piaceva guardare il mare e sognare, guardare le nuvole e sognare, guardare le bambine e sognare. Viveva con una mamma bellissima, un papà bellissimo, un fratello bellissimo, una nonna bellissima, in una casa bellissima, in una città bellissima. Poi era cominciata la scuola, che non era bellissima, e il bambino preferiva restare nascosto per strada, dove vedeva il mare e le nuvole, lo scirocco che sugli scogli diventava libeccio, i gabbiani eleganti che planavano adagio sulla spuma arricciata. I maestri non erano bellissimi, e il bambino preferiva tornare presto a casa, guardare i libri del papà, ascoltare i racconti della mamma, inventare storie col fratellino. Poi la mamma bellissima gli aveva messo vicino un violino e un maestro, e il bambino non si divertiva a studiarlo, dava al maestro dei pasticcini di panna perché suonasse per lui e invece di suonare leggeva favole di viaggio, finché la mamma se ne era accorta, ohi ohi ohi, lezioni e pasticcini erano finiti, ma non era finito il mare, non erano finite le nuvole, non erano finiti i sogni”.

“Se ne era accorta la bellissima nonna, e aveva portato il bambino in campagna, gli aveva fatto vedere le piante e le foglie, quando escono piccole, bellissime da un ramo, e diventano grandi ma sono sempre bellissime; gli aveva fatto vedere una carota rosata diventare grande e bellissima, un pomodoro diventare rosso e bellissimo, l’erba diventare verde e bellissima. Intanto una bambina bellissima cantava una canzoncina qualunque, e al bambino era sembrata bellissima e la cantava con lei, e poi senza di lei; la cantava e sognava le nuvole e i boschi, sognava i prati e i profumi, i sorrisi e le lacrime: sognava il mondo bellissimo che c’era lì attorno”.

“Poi, sempre bellissimo ma non più bambino, un’estate ha conosciuto in Sardegna prati e boschi in collina, profumi e fiori nell’aria, delfini e rocce nel mare, sempre bellissimi, che gli hanno fatto vedere soltanto sorrisi, perché anche le lacrime erano bellissime, ormai: erano lacrime, ma già dell’amore. Così in Sardegna è rimasto: era diventato un ragazzo e poi un uomo bellissimo, aveva fatto figli bellissimi e sempre bellissimi sogni. Ma i sogni oramai li chiamava canzoni”. (Fernanda Pivano, 11-12 marzo 2003)

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ultimo aggiornamento: 11-01-2023