Platone diceva: “Puoi scoprire di più su di una persona con un’ora di gioco che con un anno di conversazione”. Per questo ho scoperto tantissimo su Noris Lazzarini: non mi ha detto niente! Il bello è stato vederla fare il laboratorio con i ragazzi. Se avete fortuna, la potete incontrare nei suoi giri con Foto in scatola: era alla Bovisa per la mostra di Ghitta Carell, nella giornata in memoria di Ando Gilardi organizzata dalla Fototeca Storica Nazionale.

Era stato proprio Ando a portarla sulla strada della fotografia stenopeica, una tecnica antica che in Italia ha avuto adepti importanti come Paolo Gioli. Gioli aveva girato anche un film stenopeico (L’uomo senza macchina da presa): tornare a tecniche semplici era un’idea già attuale negli anni ’70, figuriamoci oggi:

Questo film, come dice il titolo vertoviano è stato eseguito senza macchina da presa, più precisamente è un utensile autoprogettato per restituire immagini, liberate dall’ottica e dalla meccanica. Lo sostituirsi alla cinepresa tradizionale fa parte di un mio, ormai prolungato gesto verso la spogliazione di una tecnologia di consumo, tossico della creatività pura.

Quando ho chiesto a Noris di questo ritorno al secolo scorso, mi ha dribblato con grande savoir faire. A lei non sembra importar molto del rapporto tra digitale e analogico, e di tutte questa teoria che anche io lascio volentieri ai critici. Mi ha iniziato a raccontare di come è arrivata a girare il mondo con un camper tramutato in gigantesca camera oscura.

Ero in Colombia e mi hanno rubato tutte le macchine fotografiche in un colpo solo. Da lì ho iniziato a tirar fuori la mia esperienza, sono partita per l’Amazzonia con una pentola trasformata in macchina fotografica. Venti giorni a piedi, tre foto stenopeiche. Tornata a casa le ho sviluppate, son venute bene, ero la persona più felice del mondo.

Serafica Noris. Chiaro, in Amazzonia con una pentola. Tre scatti in venti giorni. Ci vedi qualcosa di strano?

Bella esperienza, con gli Indios. Loro fermi venti minuti con i loro cani, io con una pentola sull’albero e loro che mi guardavano come fossi matta. Anche perché oggi, con il camper, sviluppo subito e lascio la foto ai miei soggetti, loro invece non videro nulla. Mi regalarono la loro fotografia.

Da lì ho iniziato con i laboratori, a Cartagena, con un gruppo di ragazzi dai quattro agli otto anni. Viaggiavo con un fotografo colombiano di cui avevo curato una mostra a Diaframma e poi a Parigi, Leo Maria. Son stata con lui in Amazzonia, ripercorrendo a ritroso il cammino dello scrittore Álvaro Mutis. Con Maris ho conosciuto tanta gente, tra cui un italiano che mi ha dato lo spazio per i laboratori. Ilford mi aveva fornito il materiale. Avevo otto bambini.

Tornata in Italia, ho partecipato ad un piano per donne che volevano rientrare nel mondo del lavoro e ho avuto un piccolo finanziamento per trasformare un mezzo mobile in camera oscura e macchina fotografica. La Provincia mi ha dato un piccolo finanziamento e con un mutuo decennale ho poi iniziato a girare l’Italia con il camper.

Noris lo racconta come niente fosse. Il suo mezzo è qualcosa di incredibile: tutto decorato fuori, nasconde dentro un piccolo laboratorio. E può scattare foto stenopeiche da uno dei finestrini diventato pinhole. Le altre sue macchine sono tutto intorno: scatole di biscotti, scatole di ogni tipo, una sua foto famosa la ritrae con una zucca riadattata a macchina stenopeica.

Mi racconta che una volta, per Pasqua, è stata in piazza Duomo a Milano con un enorme uovo di cioccolato stenopeico – smontato, preparato per le foto e richiuso. I passanti non ne volevano sapere di fare la foto: Noris esigeva che poi mangiassero il cioccolato. La prendevano tutti per matta, forse avevano anche un po’ ragione. Matta ma simpatica Noris.

Le chiedo se ha mai esposto le sue immagini. Dove vuole portare il suo progetto. Mi dice che vuol fare un manuale, con qualche foto stenopeica e tutti i consigli perché i bambini possano costruirsi da soli le macchine fotografiche. Della sua splendida serie sul bacio Slowly Kiss (due scatti sono in vendita qui da Photogalleria), mi dice: “Non so, amo molto gli alberi. Mi piacerebbe una mostra allestita così”. La lascio ai suoi ragazzi, non c’è tempo per troppe chiacchiere. E’ di nuovo il momento di giocare coi bambini.

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ultimo aggiornamento: 25-09-2013