Installazioni
Pixel Pancho a Città del Messico
Quando parliamo di street art, c’è un nome italiano che si sta comportando davvero bene a livello internazionale. Sto parlando di Pixel Pancho, torinese classe 1984 sempre in giro per le strade del mondo, sempre pronto a mettersi alla prova, non solo con spray, rulli e pennelli, ma anche con le sue meravigliose sculture di assemblaggio, realizzate con oggetti trovati e materiale di recupero.
Nelle ultime settimane Pixel Pancho è stato ai Caraibi e ha lasciato a Puerto Rico, nella bowl di uno skatepark, uno dei suoi robot sdraiato in orizzantale dentro una caravella.
Poco dopo è partito alla volta di Città del Messico, dove ha lavorato indoor, al Museo Universitario del Chopo. Qui ha preso in mano il saldatore per realizzare un’installazione imponente in cui un robot rotto e ammaccato riversa sull’erba e viene inglobato dal terreno come una carcassa animale.
Di fronte, un enorme dipinto realizzato su un pannello orizzontale, offre forse un’altra versione della stessa storia. Il robot disegnato è riverso a terra su un soffice manto erboso cosparso di fiori. Il suo corpo metallico ne ha già subite molte ed è stato riparato con mezzi di fortuna (monetine e lattine di bibite), ma non contento, uno scheletro mosso da serpenti, infierisce su di lui. Sullo sfondo un cielo caldo, un orizzonte inquietante di fuoco.
Pixel Pancho – Museo del Chopo – Città del Messico
Un altro capitolo di una storia ramificata ed interconnessa, che si ripresenta ad ogni uscita. Un universo immaginifico in cui le creature robotiche che Pixel Pancho mette in scena sembrano solo apparentemente vuote, ma finiscono per far trapelare sentimenti umani, o perlomeno animali. Un teatro vorticoso di sensi in cui la narrazione non parte mai da presupposti verosimili, certi o comunque lineari, ma procede avendo fatto tesoro della lezione surrealista, dando spazio al materiale inconscio, strizzando l’occhio alla cultura pop, e, quindi, alla street art.