La Giornata della Memoria del 27 gennaio, anche in questo 2014 deve diventare occasione per ricordare l’orrore della Shoah, ma soprattutto per garantire imperitura memoria a chi ne fu vittima. Se furono milioni gli uomini e le donne di origine ebraica, ma anche omosessuali, dissidenti politici, disabili fisici e psichici e zingari che subirono sul loro corpo, e ancor di più sulla loro anima, le ferite indelebili dell‘odio razziale e della più abominevole ferocia umana, è pur vero che alcune storie ci toccano particolarmente.

Figure note, che abbiamo conosciuto attraverso libri e film, e che magari abbiamo amato, sono finite nelle maglie di quell’ingranaggio terribile che era la deportazione. Vogliamo raccontarvi le storie di tre donne speciali, tre intellettuali, tre artiste, tre scrittrici che subirono l’Olocausto, morendo nei campi di sterminio.

  • Irène Némirovsky è stata una raffinata scrittrice francese di origine russa (era nata in Ucraina nel 1903 s suo padre era un ricco banchiere), che si trasferì con la famiglia in Francia dopo la rivoluzione del 1917. Di ottimi studi, si convertì al cattolicesimo nel 1939, e sebbene fosse diventata una scrittrice di grande successo, sebbene fosse ricca e ammirata, fu comunque vittima delle leggi razziali e morì di tifo ad Auschwitz nel 1942. Tra i suoi romanzi, bellissimi ed evocativi delle atmosfere eleganti e rarefatte della società francese dell’epoca, ci sono “Il ballo“, “I cani e i lupi“, e soprattutto l’incompiuto e pubblicato postumo (dopo un fortunoso recupero dei manoscritti da parte delle figlie di Irène), “Suite francese“, proprio incentrato sull’occupazione nazista di Parigi
  • Etty Hillesum era una giovane donna olandese – nata a Middleburg nel 1914 – ovviamente ebrea, che morì ad Auschwitz nel 1943, ma non prima di aver testimoniato, in undici quaderni di memorie, l’inferno in cui, con il suo popolo, stava per esser catapultata. Il suo Diario fu pubblicato solo nel 1981, ma Etty lo scrisse tra l’8 marzo del 1941 e il 13 ottobre del 1942, ovvero prima di essere deportata. Etty era laureata in giurisprudenza e faceva la dattilografa presso il Consiglio Ebraico, ad Amsterdam. In quel periodo ebbe la possibilità di salvarsi, ma preferì, invece, condividere il destino del suo popolo e non si nascose, non scappò. Le sue memorie sono per noi oggi una preziosa fonte di riflessione sulla Shoah, perché Etty, profondamente religiosa, non usa l’arma dell’odio nelle sue parole, ma quella della comprensione, di una visione superiore ed escatologica del significato degli eventi storici. Ecco un estratto:

    Una pace futura potrà esser veramente tale solo se prima sarà stata trovata da ognuno in sé stesso – se ogni uomo si sarà liberato dall’odio contro il prossimo, di qualunque razza o popolo, se avrà superato quest’odio e l’avrà trasformato in qualcosa di diverso, forse alla lunga in amore se non è chiedere troppo. È l’unica soluzione possibile. E così potrei continuare per pagine e pagine. Quel pezzetto d’eternità che ci portiamo dentro può esser espresso in una parola come in dieci volumi. Sono una persona felice e lodo questa vita, la lodo proprio, nell’anno del Signore 1942, l’ennesimo anno di guerra

  • Hélène Berr, francese di Parigi, fu una giovane ebrea che finì i suoi giorni deportata nel campo di Bergen Belsen, ma che prima di morire ci ha lasciato un Diario redatto nel periodo dell’occupazione nazista di Parigi. Il Diario, pubblicato in Italia nel 2009, venne da questa brillante e colta fanciulla piena di vita e di speranza per il futuro, scritto dal 7 aprile del 1942 al 15 febbraio del 1944, con un’interruzione tra il ’42 e il ’43. Nelle sue riflessioni quotidiane, Hélèn descrive le sue giornate in quei giorni ribollenti sia relativamente ai rapporti con la famiglia che con gli amici e il fidanzato. Una sorta di Diario di Anna Frank che ci fornisce un altro spaccato di un vita spezzata prematuramente per un disegno di sterminio criminale che ancora qualcuno si ostina a voler o ridimensionare o, peggio ancora, a negare

Non dimentichiamo queste tre donne speciali, perché attraverso le loro parole abbiamo avuto la possibilità di gettare uno sguardo limpido nell’orrore, e di sapere che ciò che racconta la Storia, è nulla, in confronto a ciò che raccontano le singole storie di ogni singolo deportato, di ogni singola vittima.

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ultimo aggiornamento: 24-01-2014