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Arte e cultura

Adam and Dog il corto d’animazione indipendente nominato agli Oscar

Corto d’animazione indipendente, capolavoro di realizzazione e storia, vincitore di premi per la poesia narrata

Premetto che solitamente guardo con un po’ di sospetto i cartoni animati orientali, perché o non gradisco per niente, o sono dei capolavori assoluti. Adam and Dog appartiene nettamente alla seconda categoria, e non a caso è stato nominato per gli Oscar 2013 nella categoria come cortometraggio d’animazione, per altro indipendente. C’è lo zampino della Disney, della DreamWorks e della Pixar, eppure non centrano nulla, perché la firma è tutta di Minkyu Lee.

L’autore, Minkyu Lee, lavora sì per la Disney, ma questo cortometraggio è indipendente e totalmente suo, e per realizzarlo si è avvalso di qualche suo amico e collaboratore, come Jennifer Hager, James Baxter, Mario Furmanczyk, Austin Madison, Matt Williames e Glen Keane, provenienti dalla Disney, dalla DreamWorks e dalla Pixar, e un budget di soli 25.000 dollari. Progetto nato nel 2009, ha visto la luce solo ora, e già riscuote successi: nominato per un Academy Award come miglior cortometraggio d’animazione, ha anche vinto il premio Annie 2012 per il miglior soggetto.

Il corto, di 15 minuti, ha un’animazione tradizionale in 2D, ma una realizzazione straordinaria e una storia dolcemente originale. Inizialmente non ho fatto molta attenzione (forse la diffidenza di cui sopra) e non ho collegato immediatamente il titolo alle immagini. Se gli si può attribuire un ulteriore merito è quello di essere un corto d’animazione muto, se si fa eccezione per qualche rumore d’ambiente. E come tale destina la comunicazione quasi esclusivamente all’espressività dei personaggi e alla comunicazione dei paesaggi, entrambi perfettamente realizzati.

I paesaggi hanno un ruolo fondamentale e sono predominanti. Gran parte della bellezza del corto è affidata a vaste distese di natura di ogni genere: dalla foresta ai fiumi, dai campi di grano ai cieli stellati, e poi praterie, alberi enormi, laghi, stagni e rocce. Sullo sfondo, non il paesaggio che appunto è quasi protagonista, ma qualche animale che discretamente compare. Questi sono solo accennati per non incappare nel clichè della preistoria con i dinosauri.

Gli animali sono tutti contemporanei, a parte un mammuth di cui si vede solo una porzione di zampe e zanne. Oltretutto convivono tutti nello stesso ambiente, che è una indistinta natura che accoglie qualsiasi vegetazione e qualsiasi fauna, che oggi vedremmo invece distinte. In questo mondo perfetto non può mancare il sole, perenne: a volte a picco sui campi, a volte filtrato dal fitto intrico di foglie.

Centro della narrazione è l’incontro di un cane con un uomo. Il primo l’avevamo seguito dal principio, scrutando i luoghi con la sua stessa giocosa curiosità; il secondo lo troviamo nel grano, dove avvengono i primi contatti. Di tanti animali quest’uomo fa amicizia proprio con quel cane. Così i due stanno sempre assieme, giocano e condividono tutto. Quel vuoto di prima, che non era solitudine ma vastità, ora è riempito dalla compagnia.

Ma alla compagnia si intromette una compagna. L’uomo incontra la donna, una presenza forse più simile a sé rispetto al cane. Ma il quadrupede non si scompone, non è geloso lui, vuole solo continuare a giocare. Non è lo stesso per l’uomo, che infatti scompare. Il cane lo cerca ovunque, non trova più il suo amico: ora sì che quella vastità è solitudine. Dove e perché è scomparso?

Per fortuna Minkyu Lee e i suoi non mostrano né serpenti, né giudizi divini, importanti in un racconto che si rifà al Genesi, ma forse raccontabili in maniera più originale. Se prima c’era il sole, ora vediamo il cielo piangere per la prima volta. L’uomo non si va vedere più, è nascosto, proprio come leggiamo nel Genesi. Qualcosa è cambiato, e noi lo intuiamo. Non vediamo nulla di esplicito, ma percepiamo il dolore di un legame che si è rotto nella sofferenza del cane, e nell’indifferenza dell’uomo.

Se nel Genesi era la vergogna a farlo nascondere, qui è il trascurare un rapporto che lo porta lontano da chi lo ama. In fin dei conti rimaniamo nel tracciato biblico. Il bel ragazzo che prima era l’uomo, ora è qualcuno di terrorizzato e deforme, che scappa anziché passeggiare. E non più con le sue nudità pure e genuine, ma coperto e a testa bassa; così, esce dalla foresta immacolata, per andare altrove, nel buio e nella nebbia, assieme alla donna.

Per pochissimi secondi si inquadra di nuovo la foresta, e se ci fate caso, quasi invisibili ma perfettamente reali, ci sono un elefante, un orso bruno, un giaguaro, e lui, il cane. Sono tutti fermi a osservare quell’uomo che se ne sta andando. Sono lo sguardo di Dio, la completezza e la perfezione dalla quale l’uomo sta andando via per sua libera scelta.

Ma Dio è amore, Dio è misericordia, e quasi in una prefigurazione di ciò che sarà il Nuovo Testamento, nell’immagine del cane, Dio torna dall’uomo, non si dà per vinto, dimentica le offese perché tutto ciò che vuole è solo stare in compagnia dell’uomo. Questi e la donna vengono raggiunti, entrambi si chinano davanti al cane ristabilendo un nuovo legame, e il cane non smetterà di seguirli, anche se fuori dalla foresta incontaminata, dal Paradiso Terrestre. Ed è solo alla fine, forse, che come uomini e donne ci riconosciamo in quelli che sono Adamo ed Eva, nella silenziosa e discreta compagnia del migliore amico dell’uomo che non ci abbandona mai.



Bruna Marini Bruna Marini
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