Aggiornamento del 22 settembre ore 18:15: Per l’omicidio di Silvia Caramazza, uccisa e poi avvolta in un sacco e chiusa in un congelatore, è stato condannato in primo grado Giulio Caria, compagno della vittima arrestato il 29 giugno del 2013 dopo una fuga di qualche giorno. Il corpo della donna venne ritrovato il 27 giugno del 2013. Il 35enne è stato condannato a 30 anni di carcere per omicidio volontario, aggravato da stalking e occultamento di cadavere. La condanna tiene conto dello sconto di un terzo della pena previsto dal rito abbreviato.
Fabio Pancaldi e Federico Canova, avvocati della famiglia, commentano così la condanna:
La sentenza ha confermato che si è trattato di un omicidio maturato in ambiente persecutorio. Il giudice ha escluso l’aggravante della crudeltà ritenendo evidentemente che alcune lesioni fossero post vitali. Ma ha riconosciuto l’occultamento di cadavere.
(p.c.)
04 luglio 2013.
Credo che sia capitato a tutti di pensare al modo in cui lasceremo questa terra, come accadrà, ci immaginiamo sempre anziani, vero? Probabilmente sarà stato così anche per Silvia Caramazza, una giovane ragazza di 39 anni che pochi giorni fa è stata ritrovata a casa sua, morta, chiusa dentro un congelatore in camera da letto. Una storia agghiacciante e triste che ci dimostra come la vita prenda pieghe davvero assurde, tutto inizia con un drink, un sorriso, un’avventura, quella che doveva essere una storia d’amore si trasforma in violenza. Il principe azzurro diventa il carnefice.
Silvia Caramazza era una ragazza normale, sensibile, scriveva i suoi pensieri in un blog, convinta che nessuno lo leggesse, si sfogava e metteva a fuoco i suoi problemi e il suo senso di impotenza, con la speranza di esorcizzare le sue paure. Adesso Silvia è morta e il suo blog sembra una profezia di quello che le è accaduto, potete leggere alcuni stralci qui. Sembra assurdo che non sia stata in grado di tirarsi fuori da questa storia di violenza, fisica e psicologica, che in quella casa dove era andata a convivere, ci sia dovuta morire in modo così efferato e triste.
Quando una storia rimbalza dai giornali ai blog, dai siti ai programmi televisivi, si tende a dimenticare il lato umano e a pensare solo ai fatti, la cosa che fa rabbrividire è che Silvia era una ragazza come noi, innamorata di un uomo sbagliato, che non la faceva stare bene. Non si sa ancora chi l’ha uccisa e poi l’ha chiusa dentro un freezer ma è facile immaginarlo. Come si può fare una cosa del genere? Cosa possiamo fare noi? Noi donne siamo fragili, anche le più forti, le più spavalde, quelle che sembrano sicure e determinate, dobbiamo imparare a parlare e a farci aiutare, a smetterla di sperare nei cambiamenti, smetterla di affidare le nostre paure al vento e parlare con un’amica, con qualcuno che sappia aiutarci a tirarci fuori da una vita che non è più la nostra.
Silvia non c’è più, la procura sta indagando sul suo fidanzato, speriamo che non scivoli via tutta l’estate e che non diventi l’ennesimo caso mediatico che non avrà mai fine. Per Silvia e per tutte le ragazze come lei, per noi.
Femminicidio: una vittima ogni due giorni e mezzo
Secondo i dati dell’Organizzazione mondiale della sanità presentati a Palazzo Chigi, dal primo gennaio a fine giugno 2013, sono 65 le donne morte per femminicidio e nella maggior parte dei casi si tratta di violenza domestica, di queste solo il 7% sporge denuncia. Dato che gli uomini, certi uomini, non cambiano e non cambieranno mai, siamo noi a dover cambiare. Non c’è altra soluzione.
Riproduzione riservata © 2024 - PB