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Fondazione Prada Milano: la mostra di Goshka Macuga “To the Son of Man Who Ate the Scroll”, le foto

Fondazione Prada presenta a Milano la mostra di Goshka Macuga “To the Son of Man Who Ate the Scroll” fino al 19 giugno 2016 negli spazi del Podium, della Cisterna e della galleria Sud. Le immagini sono su Designerblog

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Fondazione Prada presenta a Milano la mostra di Goshka Macuga “To the Son of Man Who Ate the Scroll” fino al 19 giugno 2016 negli spazi del Podium, della Cisterna e della galleria Sud. Il progetto è stato ideato da Goshka Macuga che nella sua ricerca artistica ricopre i ruoli normalmente distinti dell’autore, curatore, collezionista, ricercatore e ideatore di mostre. Macuga descrive queste categorie normalmente associate alla sua pratica come definizioni che “descrivono e individuano la sua posizione all’interno di una tassonomia della storia dell’arte”.

“To the Son of Man Who Ate the Scroll”, concepito dall’artista per gli spazi della Fondazione Prada, esplora questioni fondamentali come il tempo, l’origine, la fine, il collasso e la rinascita. Osservando l’angoscia che accomuna l’umanità di fronte all’idea della propria estinzione, Macuga si pone un interrogativo essenziale: quanto è importante affrontare la questione della “fine” nel contesto della pratica artistica attuale? La capacità di pensare l’universo in maniera astratta e oggettiva e di concepire noi stessi come esseri umani ci permette di determinare l’epoca in cui viviamo come una delle molte ere dell’universo e di immaginare un’esistenza dopo di noi, un universo senza l’uomo.

La mostra di Macuga segna il culmine di una sua lunga e approfondita ricerca finalizzata a elaborare una metodologia di categorizzazione di materiali e informazioni attorno a questi temi. L’artista considera l’arte della retorica e la memoria artificiale come strumenti interconnessi, in grado di organizzare e far progredire la conoscenza. Concepita originariamente nell’antica Grecia, la retorica è stata celebrata nel Rinascimento non solo come una tecnica finalizzata alla formulazione di discorsi, dibattiti, ragionamenti, ma anche come uno strumento per organizzare le idee attraverso la costruzione della conoscenza e delle tecniche mnemoniche. L’Ars memorativa getta le basi della memoria artificiale estendendo e sviluppando la memoria naturale attraverso visualizzazioni complesse che richiamano informazioni specifiche.

L’influenza di questa macro-struttura risuona nella mostra “To the Son of Man Who Ate the Scroll”, in cui sono inclusi riferimenti all’arte della retorica e alle tecniche mnemoniche. Nel piano terra del Podium è esposto un androide, concepito da Goshka Macuga e prodotto in Giappone da A Lab, che declama senza sosta un monologo composto da numerosi frammenti di discorsi elaborati da grandi pensatori, formando un archivio del discorso umano, sebbene non sia chiaro il destinatario di questa opera di trasmissione: in questa ambientazione dominata dalla dimensione temporale del robot, la prospettiva umana diventa irrilevante. Il robot è circondato da una selezione di opere di grandi dimensioni che evocano l’idea del cosmo di artisti come Phyllida Barlow, Robert Breer, James Lee Byars, Ettore Colla, Lucio Fontana, Alberto Giacometti, Thomas Heatherwick ed Eliseo Mattiacci provenienti dalla Collezione Prada e da importanti musei italiani e internazionali, oltre a un nuovo lavoro dal titolo ‘Negotiation sites’ after Saburo Murakami, realizzato da Goshka Macuga in collaborazione con Kvadrat in Danimarca.

Al piano superiore si trova l’installazione Before the Beginning and After the End, risultato di una collaborazione tra Goshka Macuga e Patrick Tresset. Cinque tavoli presentano rotoli di carta lunghi 9,5 metri ricoperti da schizzi, disegni, testi, formule matematiche e diagrammi tracciati con penne biro dal sistema “Paul-n” realizzato da Tresset, che illustrano la storia del progresso umano. Sul sesto e ultimo tavolo i robot della serie “Paul-A” continuano a disegnare in tempo reale per tutta la durata della mostra. Le loro intenzioni non sono del tutto esplicite, a metà tra l’atto di sovrascrivere e quello di rimuovere le narrazioni antropocentriche che sembrano illustrare. Opere d’arte antica e contemporanea di artisti come Hanne Darboven, Lucio Fontana, Sherrie Levine, Piero Manzoni e Dieter Roth, oggetti rari, libri e documenti sono disposti sopra i rotoli, creando una giustapposizione che racconta l’evoluzione dell’umanità e il suo possibile collasso.

I tre ambienti della Cisterna accolgono una nuova installazione realizzata da Macuga e composta da 73 teste di bronzo che rappresentano 61 figure storiche e contemporanee come Albert Einstein, Sigmund Freud, Martin Luther King, Karl Marx, Mary Shelley e Aaron Swartz, collegate tra loro da lunghe barre metalliche. L’opera ricorda una struttura molecolare ed evoca la proposta di Einstein che prevedeva una leadership intellettuale capace di sostituire l’attuale modello dell’autorità politica. Questo lavoro può essere letto come l’incontro immaginario tra pensatori di diverse epoche storiche e provenienze geografiche e culturali, le cui idee riflettono la complessità della natura umana e della sua storia.

Il contributo di Goshka Macuga si estende sotto forma d’intervento anche nello studiolo, presentato all’interno della mostra “An Introduction”, in corso nella galleria Sud e nel Deposito fino al 25 aprile 2016. Fin dal Rinascimento, l’estetica dello studiolo tradizionale è ispirata alla relazione tra architettura e arte della memoria. L’intervento, dal titolo “Al la filo de la homo kiu manĝis la skribrulaĵon”, sottolinea l’associazione tra lo studiolo come dispositivo per la pratica della conoscenza, l’architettura della memoria umana e la concezione dell’ambiente espositivo o dell’opera d’arte come spazio di contemplazione. Macuga animerà lo studiolo, utilizzandolo come luogo per una serie di letture pubbliche di testi significativi in Esperanto. I readings esprimono la difficoltà di relazione con la pratica della conoscenza, evocando sia le intenzioni utopiche alla base dell’invenzione di una lingua artificiale sia il fallimento dell’idea stessa di un linguaggio universale e di una cultura umana condivisa.

credit image by Fondazione Prada (photo by Delfino Sisto Legnani Studio)



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