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Vudafieri-Saverino Partners ridefiniscono una volta ancora i temi dell’accoglienza nel settore food&beverage. Ripartendo da uno dei più noti brand del settore: DRY Milano. E’ infatti con una seconda apertura Milanese del celebre marchio che Tiziano Vudafieri e Claudio Saverino hanno occasione di rielaborare il rapporto tra persone e servizi, estetica e funzione: tra segno e messaggio.

A differenza del primo Dry Milano – aperto solo alla sera, nel 2013 in via Solferino e diventato subito una case history – questo nuovo Dry Milano ha una “doppia anima” diurna e serale, e una collocazione ancora più versatile. Posto nel cuore di uno dei quartieri della nuova movida milanese, all’angolo tra viale Vittorio Veneto e via Manuzio, il progetto valorizza la duplice esposizione della location grazie a tredici vetrine e un dehors sui Bastioni.

Il tema architettonico pone al centro la progettazione del rapporto con le persone. Un tema che si fa evidente nella scelta di eliminare il filtro tra chi lavora e chi è servito: rompere l’idea del bancone del bar come un altare laico. Ne consegue una distribuzione dello spazio non gerarchica tra luogo del cliente e luogo dello staff. Dry Milano è una pizzeria nella quale i codici estetici classici vengono sovvertiti: con il forno che non si vede, video di arte anziché di sport, una persistente disomogeneità tra funzioni e luoghi. Tutto al fine di determinare un nuovo sistema di confort per le relazioni tra le persone che si trovano ad abitare lo spazio, e per le relazioni tra cibo, drink e interazioni sociali.

Fino agli anni ’70 bere e mangiare non erano attività separate. I ristoranti avevano sempre la funzione di bar, una caratteristica che si è progressivamente persa lasciando spazio alla specializzazione dei locali. Dry Milano ha riconciliato queste due anime determinando un percepibile grado di empatia tra le diverse funzioni dello spazio. L’inserimento del bar ad interrompere la navata centrale costringe gli ospiti a muoversi ad S: intrattenendo una relazione con ambienti diversi, che cambiano in relazione all’orario, alla quantità di persone, all’intensità della luce. La qualità dello spazio incide sulla geometria delle relazioni, fino a creare comfort per stare bene anche da soli.

L’ambiente è fortemente caratterizzato dallo spirito del luogo, carico delle memorie che sono emerse durante la ristrutturazione. Il progetto architettonico ha reinterpretato in chiave moderna lo stile dell’epoca a cui risale l’edificio. Dove la bellezza non nasce da singoli elementi quanto dalla capacità di porre in armonia le preesistenze con i nuovi elementi disegnati. L’ingresso è occupato da un’imponente cocktail station dove è prevista la mise en place organizzata in tre atolli e circondata dai tavoli comuni. La seconda sala, invece, è dedicata al ristorante-pizzeria. Il decor mixa elementi d’epoca con altri più moderni, per un layout contemporaneo. Il pavimento in legno si contrappone ai muri storici, lasciati in parte grezzi. Il disegno dei tavoli – infantili, o primari, nella loro semplicità – è un omaggio alla poetica di Aldo Cibic. I materiali sono lavorati in modo inconsueto, come per la ceramica da pavimenti utilizzata sulla superficie dei tavoli in 3 tonalità, con bordi in ottone ruvido.

L’ottone è l’elemento materico iconico di DryMilano, caratterizza la maggior parte delle finiture d’arredo come anche le luci. I lampadari second life sono costruiti avvitando vecchi portalampade, con lampadine ad incandescenza di recupero o, ancora, attorcigliando ghirlande luminose da giardino attorno semplici barre. I separé a tutta altezza – ottenuti sovrapponendo tavoli e pensili da cucina – delimitano gli spazi aperti rendendoli più intimi. Extra Dry, il programma di video installazioni d’arte contemporanea curato da Paola Clerico/Case Chiuse, contribuisce a rafforzare l’atmosfera urban del locale e si apre alla città attraverso le proiezioni, su due delle vetrine, che sono visibili anche all’esterno.

Lo Chef Andrea Berton inventa, ancora una volta, un tema food different, arricchendo la formula vincente del primo Dry Milano. Cocktail, pizza gourmand, una varietà d’insalate, salumi e carni stagionate d’eccezione (come la bresaola di Panatti o il crudo a lenta stagionatura). Per quanto riguarda focacce e pizze, non mancano Le Classiche (che il cliente può completare con condimenti serviti al tavolo in purezza), ma la lista contiene anche una serie di Proposte dello Chef, studiate ad hoc.

La zona bar, situata tra due cocktail station, è il fulcro del locale. La back station a vista consente agli ospiti di assistere alla finitura dei drink, costruiti con materie prime di grande qualità, creatività e tecnologia. Anche in questo caso è possibile ordinare alcuni must del Dry, come il “French 75” o il “Corpse Reviver”, ma la vera novità sono i Signature, a base di vino e shrub (ingrediente home made ottenuto dalla fermentazione della frutta), per un basso contenuto alcolico e un altro grado di novità. Una lista dei vini verticale, costruita attraverso una selezione di due soli vitigni: Pinot Nero e Riesling, è arricchita da spumanti, champagne e Crémant, oltre che da un Rosso e da un Bianco serviti al bicchiere. Le proposte dei soft drink comprendono, invece, una vasta scelta di acque aromatizzate, ottenute attraverso i processi d’infusione ed estrazione a freddo. Infine, una nota dolce. Un nuovo laboratorio di pasticceria affianca pizzeria e cucina. Una selezione di dessert completa la proposta di tradizionali gelati e sorbetti artigianali che hanno contribuito alla fama del Dry.

credit image by Press Office – photo by Nathalie Krag

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ultimo aggiornamento: 30-11-2017