Gli uragani con nomi femminili mietono più vittime di quelli dai nomi maschili perché la gente tende in modo maschilista a sottovalutarli. Sembrerà una barzelletta grottesca e di cattivo gusto, eppure alle spalle ci sono gli studi congiunti dell’Università dell’Arizona e di quella dell’Illinois, che hanno analizzato 60 anni di storia di uragani in America arrivando a questo sconcertante responso.

Così Samantha, Sandy, Camille, Alice, tutti nomi decisi arbitrariamente da un particolare sistema informatico (si, se credevamo che si riunisse un’assemblea plenaria dei saggi per appellare i vari disastri atlantici eravamo proprio fuori strada), sarebbero più devastanti di Sam, Andrew e Michael. Il tutto per ragioni di sottovalutazione: come quando il campionissimo di braccio di ferro viene sfidato e battuto da una ragazza. Non se lo aspetta e ne paga le amare conseguenze.

Eppure, anche se la cosa può sembrare shockante, il sessismo non risparmia nemmeno questo ambito così particolare. I ricercatori americani per arrivare a questa conclusione hanno esaminato sei decenni di tassi di mortalità per uragani in base al nome, a partire dal 1950 e fino al 2012. In più hanno sottoposto una serie di volontari a 6 esercizi differenti sul tema “tempesta”, tutti comprendenti delle domande cui rispondere.

Il risultato è stato che gli intervistati hanno immaginato gli uragani maschi come più intensi rispetto a quelli femminili, ammettendo che il “genere” dell’uragano influiva sul loro modo di prepararsi al disastro. E ciò non stupisce, visto che l’analisi sui 47 uragani più dannosi degli ultimi sessant’anni ha rivelato che il tasso di mortalità è stato maggiore in presenza di tempeste “in rosa”.

Il Washington Post dice, e noi gli crediamo ciecamente, che il National Hurricane Center si è rifiutato di commentare l’esito di questo studio, sostenendo che le persone dovrebbero concentrarsi di più sugli effettivi rischi di ogni uragano più che sul nome che gli è stato affibbiato.

Marshall Shepherd, ex presidente della Meteorological American Society, ha preso un po’ più seriamente la ricerca, sostenendo di non essere ancora pienamente convinto di voler cambiare il sistema di denominazione solo in base ai risultati di uno studio. Però ammette anche che è un aspetto da non sottovalutare se può portare a salvare più vite umane.

Ma insomma, se una parte si ride a denti stretti sulla freddura che recita che la donna è come un uragano, prima è calda e avvolgente e quando va via si porta la casa e la macchina, dall’altra c’è una manifesta sottovalutazione dei rischi che un disastro naturale può portare. E dire che gli americani agli uragani sono ben abituati da anni ed anni di esperienza. Possibile che ancora si concedano il lusso di dare più importanza ad Arthur e meno a Katrina??

Via | Washington Post

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ultimo aggiornamento: 05-06-2014