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Nei Centri antiviolenza in Italia cresce la (giusta) preoccupazione per il taglio dei fondi

Meno fondi e ripartizione dei finanziamenti non equa: ecco l’allarme lanciato dai centri antiviolenza italiani, che potrebbero veder ridotto all’osso l’ammontare dei sovvenzionamenti statali

Da giorni imperversa la polemica sulla decisione del governo italiano di tagliare i fondi ai Centri Antiviolenza sparsi sul territorio. Dei 17 milioni di euro previsti dalla legge contro la violenza di genere n. 119/2013 per il biennio 2013-2014, solo 2,3 toccheranno infatti ai 352 Centri e Case Rifugio presenti in Italia. Il che si traduce in circa 3000 euro a testa l’anno per due anni, troppo poco per poter garantire dei servizi efficienti.

Ma non è tutto, perché ad essere limato non è il budget in se, quanto piuttosto proprio le sovvenzioni agli enti locali. Da quei famosi 17 milioni, meno di tre verranno stornati per sopperire ai bisogni “minimi” dei Centri, mentre i restanti 14-15 saranno stanziati per finanziare progetti sulla base di bandi. Quindi ad essere sotto accusa è fondamentalmente un criterio di ripartizione non equo dei fondi che, fra le altre cose, non tiene conto anche delle esigenze differenti che hanno strutture pubbliche e private.

A dirlo è l’Associazione Nazionale D.i.Re “Donne in Rete contro la violenza”, che proprio oggi ha programmato una conferenza stampa per spiegare le motivazioni della protesta dei Centri Antiviolenza, penalizzati da questa iniqua suddivisione di risorse finanziarie destinate per legge ad azioni di prevenzione e contrasto della violenza sulle donne.

E sempre di oggi è la notizia che una delegazione, in rappresentanza di 67 Centri italiani, sarà presente in via della Stamperia 8, davanti alla sede della Conferenza Stato – Regioni che dovrà discutere proprio dei criteri di distribuzione di questi fondi.

Secondo D.i.Re ciò che è in pericolo non è solo l’esistenza delle organizzazioni storiche senza fini di lucro si muovono sul territorio, ma il loro giusto funzionamento. Meno sovvenzioni infatti è sinonimo di risposte inadeguate alle necessità delle donne che chiedono aiuto, rendendo vano il principio della Convenzione di Instanbul che prevede un adeguato stanziamento delle risorse finanziarie e umane per “la corretta applicazione delle politiche integrate, misure e programmi per prevenire e combattere tutte le forme di violenza”.

Ma le pecche dello Stato non terminano qui. Infatti forse la cosa meno perdonabile è stata tralasciare e sottovalutare la parte dedicata al confronto politico con enti e organizzazioni che trattano il problema e operano sul territorio da anni. Come si fa a stilare un programma antiviolenza efficiente se non si tiene conto di dati e istanze derivati da queste preziose strutture?

Foto | da Flickr di celine nadeau



Bruna Marini Bruna Marini
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