Non sono numerose le donne sedute nei cda purtroppo e non è solo una questione di quote rosa. È sempre spiacevole pensare alle donne come un “animale protetto”, ma c’è anche da dire che finché culturalmente non supereremo le questioni di genere un percentuale femminile dovrebbe essere imposta. Perché mai? perché uomini e donne hanno uguali competenze, ma hanno occhi diversi con cui interpretare e risolvere i problemi. Questa potrebbe essere una ricchezza in campo decisionale.

Secondo i dati contenuti in un libro-ricerca elaborato in Gran Bretagna, sono aumentate le candidature di donne nei consigli di amministrazione. Le signore elette non hanno collezionati incarichi e nel 70 percento dei casi è lì per merito e non perché legata alla proprietà dell’azienda. Perché è importante questa riflessione inglese? Perché alcuni sostengono che introdurre le quote rose potrebbe ridurre le assunzioni in base al merito. Ciò dimostra che non è assolutamente vero.

Nell’agosto del 2012 è stata approvata la Legge Golfo-Mosca, che prevede che negli organi sociali di società in Borsa e statali siano composti per almeno un quinto dal genere meno rappresentato. L’obiettivo di questa legge è creare in 10 anni (entro il 2022) una situazione culturale tale da favorire le donne nei vertici aziendali. È un primo passo verso la parità di genere.

Un primo successo è già stato ottenuto: ci sono undici donne nei cda delle grandi società partecipate del Tesoro. Nelle liste indicate da Palazzo Chigi figurano quattro donne presidenti e sei donne come membri dei consigli di amministrazione. Chi sono le signore?

Patrizia Grieco presidente e Paola Giardinio membro del cda di Enel, in Eni, invece, abbiamo Emma Marcegaglia presidente; Diva Moriani in cda; Paola Camagni e Stefania Bettoni nel collegio sindacale, alle Poste Luisa Todini presidente e Elisabetta Fabbri nel cda, in Terna Catia Bastioli alla presidenza e in Finmeccanica, Marta Dassù e Marina Calderone nel cda.

Via | Fatto Quotidiano

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ultimo aggiornamento: 31-07-2014