103 anni è più di un secolo di vita, una grande quantità di tempo, seppur un soffio nella storia dell’umanità, che può essere spesa molto bene, o molto male. Giovanni Paolo II esortava i giovani a combattere apatia e rassegnazione dicendo loro “Fate della vostra vita un capolavoro”, una bel modo per spronare ciascuno a tirare fuori il meglio di sé per rendere il mondo un posto migliore.
Tra le grandi personalità che ci hanno lasciato un’eredità fatta di idee, di scoperte, di progresso, di evoluzione, che della loro vita hanno davvero saputo fare un capolavoro, c’è Rita Levi Montalcini, la neuroscienziata vincitrice (unica donna nel suo campo, in Italia) il Nobel per la Medicina nel 1986.
Il prestigioso riconoscimento le venne attribuito per aver scoperto il fattore di crescita delle cellule nervose (NGF), identificato in un primo momento presso l’Istituto di Biofisica dell’Università di Rio de Janeiro nel 1951, e poi, grazie anche al contributo del collega Stanley Cohen, in una neoplasia presente nei topi di laboratorio, nel 1953. In quegli anni Rita si spostava da un’Università all’altra, dalle Americhe all’Italia, e i primi, terribili periodi post universitari vissuti in clandestinità a seguito delle leggi razziali del 1938 erano un ricordo.
La luminosissima carriera scientifica della Montalcini, infatti, divenne tale solo dopo la fine della Seconda Guerra mondiale, quando il suo essere ebrea smise di essere una “maledizione” da nascondere, e il suo essere donna un handicap insuperabile. Rita Levi Montalcini, donna ed ebrea, infatti, era nata nel 1909 a Torino, figlia di un ingegnere e di una pittrice (come pure pittrice sarà l’amata sorella gemella Paola). La passione per lo studio e per le scienze lo assimilò in famiglia, ma dovette scontrarsi con il forte pregiudizio paterno che giudicava inopportuno l’accesso delle donne agli studi superiori.
Rita si iscrisse comunque alla Facoltà di Medicina di Torino, e grazie alla guida di colui che diventò prima suo mentore e poi entusiasta collega e socio – Giuseppe Levi – si laureò a pieni voti e con lode nel 1936. Dopo la promulgazione delle leggi razziali del 38, la giovane Rita scappò prima in Belgio, poi, a guerra ormai iniziata, nell’astigiano, e infine a Firenze, ma da clandestini. Con lei c’era sempre Giuseppe Levi, con il quale la scienziata, che dopo la laurea si era specializzata in psichiatria e neurologia, aveva cominciato a fare le prime scoperte.
Dopo la guerra finalmente Rita poté intraprendere, alla luce del sole, i suoi studi e farsi notare nell’ambiente scientifico internazionale collaborando, come abbiamo visto, con diverse Università e giungendo alla scoperta che le permise di vincere il Nobel. L’amore per le scienze e per la cultura in generale, la spinse a puntare moltissimo sull’istruzione, soprattutto femminile. Nel 1996, con la gemella Paola, istituì la Fondazione che ha il suo nome, attiva nei Paesi africani per promuovere l’istruzione delle giovani donne, una causa che stava molto a cuore alla nostra grande scienziata, mossa dalla convinzione che una nazione non può progredire se non dà spazio al genio femminile:
La donna africana porta sulle sue spalle il fardello della fatica, della sofferenza e della violenza, e porta dentro di se i semi della speranza per un futuro migliore per la sua gente
Affermava. Senatrice a vita dal 2001 fino alla sua morte, avvenuta nel 2012, la Montalcini ebbe anche il tempo per fondare, nel 2005, l’Istituto Europeo di Ricerche sul Cervello (EBRI: European Brain Research Institute), di cui divenne Presidente, che si occupa di Ricerca nel settore delle neuroscienze. Di Rita Levi Montalcini sono note le affermazioni libertarie, la saggezza, la grande determinazione, l’incrollabile fede nel futuro, e l’ironia tipica dei grandi spiriti, con cui accettava le bonarie imitazioni dei comici.
Sempre elegantissima, diremmo impeccabile, non un capello fuori posto, la Montalcini si distingueva anche per la classe innata, per quel suo stile un po’ snob che le derivava dalla sua educazione raffinata. Ma come amava dire lei stessa, Rita più che un corpo, era, e si sentiva, una mente. Una mente “ragazzina”, giovane e agile anche se racchiusa in un volto rugoso, che voleva scandagliare le zone d’ombra del nostro cervello, che voleva capire e indagare. Secondo noi, però, Rita Levi Montalcini, la grande scienziata, era anche, e forse soprattutto, una grande anima.
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