La scoperta della maternità è per quasi tutte le donne un momento di gioia infinita. Terminata l’euforia si deve spesso fare i conti con una dura realtà, il mondo del lavoro. Una donna giovane e fertile, magari con un compagno fisso o sposata, è una lavoratrice destinata ad avere un bambino e quindi risulta essere costosa e problematica per molti datori. Sono numerose le ragazza costrette, ancora oggi, a firmare lettere di licenziamento in bianco al momento dell’assunzione, per togliere il disturbo in caso di gestazione. In queste condizioni parlare di parità di genere è davvero complicato, se non impossibile.

È di oggi la notizia che in Giappone, Paese per cultura maschilista in grande trasformazione, si sta combattendo contro il mobbing in gravidanza. Questa forma di pressione psicologica, volta al licenziamento spontaneo della lavoratrice, è considerata una molestia, al pari di quelle sessuali e degli abusi di potere.

Secondo i dati del Ministero del Lavoro giapponese, solo il 46 percento delle donne rientra al lavoro dopo il primo figlio. Un dato scarso ma in crescita rispetto a 10 anni fa dove la percentuale si fermava al 32 percento. Come mai? Sono frequenti i casi di mobbing. E non è tutto, perché le donne, proprio come le italiane, conoscono poco la legge e di conseguenza i loro diritti. In Giappone, però, qualcosa si sta muovendo. Hanno capito che le pressioni professionali in gravidanza sono una molestia. È stata fondata un’associazione, la Matahara Net, per aiutare le donne e soprattutto per sperare che presto la società tuteli i loro diritti di lavoratrici incinte.

Sul sito si possono trovare informazioni, consulenze legali e il programma della campagna contro il mobbing che sta raccogliendo numerosi consensi. Se riescono a lottare le giapponesi, se riescono a farsi ascoltare, possiamo farlo anche noi, ma la spinta deve ovviamente partire dal basso.

Via | IlFattoquotidiano

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ultimo aggiornamento: 30-09-2014