Silvia Pezzatini è una donna italiana, che ha studiato 17 anni per diventare ricercatrice. Ha lavorato a lungo in laboratori di medicina molecolare, con un contratto di dottorato e borse di studio. Dopo aver dato alla luce la sua bambina, ha fatto una scelta molto particolare: prendere il timone del chiosco di panini di famiglia, per avere una stabilità economica e un lavoro più sicuro. Una scelta difficile per una donna che, come lei, ha studiato tanto, ma l’unica in un paese in cui la ricerca scientifica è in crisi, dal momento che è l’ultima voce di spesa per gli investimenti statali.

Chissà quante altre storie come la sua ci sono nel nostro paese, di donne laureate (in questo caso in chimica farmaceutica), con alle spalle anni di dottorati, master, corsi di specializzazione, assegni di ricerca che si vedono costrette a lasciare il lavoro perché si rendono conto che non c’è futuro.

Dopo la nascita della sua bambina, Silvia Pezzatini si è trovata di fronte ad una scelta davvero ardua: la madre doveva andare in pensione e il chiosco di panini di famiglia di Firenze avrebbe chiuso i battenti. Lei, sempre precaria nel mondo del lavoro, tra assegni di ricerca e borse di studio che non potevano garantirle un futuro, ha scelto la sicurezza, acquisendo la piccola attività dei genitori.

Una scelta che non è stata compresa da tutti (a partire dalla sua professoressa, mentre i colleghi l’hanno capita pienamente), ma per la ricercatrice 39enne di Firenze era l’unica possibile.

Dopo quasi vent’anni passati all’università, la prospettiva di diventare ricercatrice a tempo indeterminato rimaneva sempre un miraggio. In più vivevamo costantemente con la paura di non vederci rinnovate le borse di studio, e spesso si rimaneva anche tre mesi senza vedere l’ombra di un euro.

Da qui la scelta di rilevare il chiosco di panini al lampredotto dei genitori, un lavoro almeno dà la sicurezza di avere uno stipendio con il quale mandare avanti la famiglia alla fine di ogni mese. Per lei che ha vissuto la ricerca anche all’esterno, con un soggiorno di sei mesi a Zurigo, la situazione in Italia è assurda, senza senso, con uno scenario che non tende a migliorare.

Per i genitori una scelta digerita male, dopo tutti i sacrifici che l’intera famiglia ha fatto (Silvia compresa, visto che durante l’università ha lavorato anche in un’impresa di pulizie), ma l’unica che avrebbe potuto dare un po’ di stabilità alla sua vita da precaria: chissà quanti altri sogni infranti come i suoi ci sarebbero da raccontare!

Via | Corriere

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ultimo aggiornamento: 01-02-2013