Candidato all’Oscar come miglior film, Il caso Spotlight, in uscita nelle sale domani 18 febbraio, è più di un racconto, è il resoconto accurato ed accattivante di una storia vera. Scritto (con Josh Singer) e diretto da Tom McCarthy, parla del team di giornalisti investigativi del Boston Globe soprannominato Spotlight, premiato col Premio Pulitzer, per l’inchiesta che nel 2002 portò alla luce la copertura sistematica da parte della Chiesa Cattolica degli abusi sessuali commessi su minori da oltre 70 sacerdoti locali.

Anche se casi isolati di abusi sessuali compiuti da sacerdoti cattolici erano già stati denunciati prima dell’inchiesta del team Spotlight, le rivelazioni meticolosamente documentate dai cronisti del Globe hanno rivelato la portata dei crimini perpetrati dai religiosi – e il coinvolgimento della Chiesa che aveva tentato di insabbiarli – con una precisione senza precedenti.

Ma tutto ebbe inizio con l’arrivo del neo-direttore Marty Baron (Liev Schreiber), che dette il via alla clamorosa inchiesta, il giorno stesso del suo insediamento al Globe. Uomo di poche parole, Baron ricorda di avere messo subito al lavoro il team Spotlight, appena arrivato dal Miami Herald. “Nel 2001, il Boston Globe era un quotidiano un po’ a sé, per certi versi isolato”, spiega Baron, oggi direttore del Washington Post. “Non aveva mai avuto un direttore che non fosse cresciuto a Boston”.

Ovviemente assegna il lavoro al team Spotlight, composto dal caporedattore Walter “Robby” Robinson (Michael Keaton), e dai cronisti Sacha Pfeiffer (Rachel McAdams) e Michael Rezendes (Mark Ruffalo) e lo specialista in ricerche informatiche Matt Carroll (Brian d’Arcy James). Consapevoli dei rischi cui vanno incontro mettendosi contro un’istituzione come la Chiesa Cattolica a Boston, il team comincia ad indagare.

Via via che i giornalisti parlano con l’avvocato delle vittime, Mitchell Garabedian (Stanley Tucci), intervistano adulti molestati da piccoli e cercano di accedere agli atti giudiziari secretati, emerge con sempre maggiore evidenza che l’insabbiamento dei casi di abuso è sistematico e che il fenomeno è molto più grave ed esteso di quanto si potesse immaginare. Nonostante la strenua resistenza degli alti funzionari ecclesiastici, tra cui l’arcivescovo di Boston, Cardinale Law (Len Cariou), nel 2002 il Globe pubblica le sue rivelazioni in un dossier che farà scalpore aprendo la strada ad analoghe rivelazioni in oltre 200 diverse città del mondo.

La priorità di McCarthy, per tutto il film, ma soprattutto mentre girava gli esterni a Boston, nell’autunno del 2014, era quella di voler restare il più possibile fedele alla realtà, dai costumi alla scenografia: “La creatrice dei costumi e delle pettinature, Wendy Chuck (Twilight, Nebraska), per esempio, è riuscita a riprodurre un look d’epoca adatto alla severa etica professionale di quei giornalisti, che non seguivano certo la moda”, osserva McCarthy.

Con il direttore della fotografia Masanobu Takayanagi (Il lato positivo – Silver Linings Playbook), McCarthy si è ispirato a registi come Sidney Lumet e Robert Altman per ottenere una qualità di luce grezza, non rifinita. “Abbiamo parecchi movimenti di camera perché seguiamo l’azione, ma non volevamo inquadrature troppo strette, volevamo spazio”, spiega McCarthy. “Ci siamo affidati alla sceneggiatura e agli attori, i veri punti di forza del film”.
L’essenzialità dell’estetica ha permesso a McCarthy di concentrarsi sugli elementi fondamentali. “Io e i miei collaboratori siamo rimasti concentrati sul lavoro dei giornalisti. È un film che non ha bisogno di abbellimenti: dev’essere diretto, deve raccontare una storia e deve farlo nel modo giusto.”

Ed il film è davvero diretto, e nonostante il tema, per niente pesante. E’ un resoconto intrigante di uno scandalo che non ha sconvolto solamente una città ed una nazione ma il mondo intero. Da vedere, aspettando il resoconto degli Oscar il 28 Febbraio.

[blogo-gallery id=”983158″ layout=”photostory”]

Riproduzione riservata © 2024 - PB

ultimo aggiornamento: 17-02-2016