Non sono un grande gastronomo, lo confesso. Per questo son contento che il Cucchiaio d’Argento mi presti le parole giuste per descrivere come si apre il pranzo al Piazza Duomo:

L’antifona è presto disvelata: due ettari d’orto che regalano un profluvio di verzure trattate con certosina esattezza. Cesellate, ricamate, prelevate in forma di germoglio, come quella minicarota che campeggia nel prato di radicchi e altro. Prendersi delle pause sarà d’obbligo, nella lussureggiante vegetazione, come questo fuagrà in crema, con spuma di Crodino Recoaro.

Al capitolo “capolavorini” le finte olive: due tartare, di fassona e di gamberi, sono il ripieno di due drupe ricostruite dalla pasta, nera e verde, e rese indistinguibili dall’originale.

Ve la racconto tutta, lo scorcio del Cucchiaio non rende onore alla ricchezza degli antipasti con cui abbiamo aperto le danze. Ecco qui cosa ci ha servito Crippa:

  • Spaghetti secchi con salse. Due a testa, per non sentirsi pesanti.
  • Sorbetto all’amatriciana.
  • Volatili tacos di mais.
  • Meringa di cioccolato alla parmigiana.
  • Tartare di barbabietole, incredibile.
  • Amaretti alla crema umeboshi.

Sarebbe finita qui la partita, con questi innesti dolce/salato. Ma siamo solo all’inizio. Dopo sono arrivate due olive ricostruite, una di pesce e una di carne, una verde e una nera. Squisite. La perfezione per gli occhi, oltre che squisite: le ho ancora stampate in mente, una foto non potrà mai render merito a queste piccole sculture brillanti di olio.

Poi il colpo che mi ha mandato al tappeto: foie gras, mais e crema di gingerino. E’quello citato sopra con la spuma di Crodino credo – una cosa pazzesca e un compagno perfetto per introdurre il primo dei tre rum Zacapa, il 23. Poi una sopresa, sembra che vadano per la maggiore ma confesso di non frequentare così tanto la cucina moderna da saperne su queste diavolerie: una spugna.

La ho lasciata aspettare un momento insieme al pane alle nocciole, il fois gras e il rum mi chiedevano un po’ di calma. Credo che sarebbe piaciuta molto ai miei bambini la spugna, o forse avrebbero avuto paura della novità, e sono io adulto ad apprezzare il gioco. Fantastica: si chiama frittata creativa con bietole in spugna e salsa tonnata. Ringraziano sorridenti sia occhi che palato del commensale Francesco.

Poi l’orata, poi il branzino, pesce per accompagnare la seconda bottiglia, il 23 Etiqueta Negra, ottimo così secco e maschile con il suo invecchiamento in botti miste di sherry e americane, sia normali che bruciate. Ah, dimenticavo. Il maestro mi ha aperto un’altra porta mica da ridere: sono arrivato circa al punto dove la principessa le fischiano le orecchie e la fiaba finisce bene. Calendula, fiordaliso e nontiscordardime: l’orata mi guardava con dolcezza dal suo carpaccio. Mai saputo che i fiori avessero un sapore, così forte poi. E’ stato amore.

Per farla breve, e lasciarvi all’intervista: minestra di frutta e verdura. E qui lo chef ha sovrastato anche un commensale di carattere come il rum. Zacapa XO 32 contro l’orto di Crippa. Ha vinto l’orto. Del resto giocava in casa, e come dice lo chef: “L’orto ha modificato la mia cucina, è lui che comanda”.

La cucina è l’arte più concreta e più effimera allo stesso tempo, è l’arte perfetta: non lascia segno permanente, è difficile da storicizzare.

Sì, e mi interessa sottolineare che la cucina è arte, al 100%. Faccio un’opera e te la do da vedere, da toccare, da sentire e da mangiare: entri fino in fondo in un’altra cosa, mentre un quadro o una scultura non la puoi far tua e impossessartene. Sono d’accordissimo di classificare la cucina come arte, il cuoco è artista anche di più del pittore e dello scultore. E’ una cosa estremamente fisica e personale.

Hai studiato la cucina giapponese lavorando là per molto tempo. In Giappone la medicina dice che il copro umano ha un ciclo ben preciso. Allora ogni ricetta ha un’orario ideale? E tornando alla fisicità, quali sono le ricette che si fanno la notte, nei momenti più intimi e magici?

Dipende molto da persona a persona, c’è chi ha bisogno di zuccheri, chi per prima cosa di pietanze salate. Sicuramente mi vien da pensare che dopo la mezzanotte, se devo mangiare qualcosa, voglio qualcosa che mi diverta, senza dovermi sedere. Se torni a quell’ora, che hai bevuto troppo, magari hai desiderio di determinate sensazioni: cibi croccanti, cose da masticare per uscire dal momento di ebbrezza. E’ una cosa molto personale, io dopo la mezzanotte, finito di lavorare, cerco di più il dolce. Ma capita di bere la birra in più del solito e di volere invece il salato, non saprei dire: comunque meglio non mangiare dopo le dieci, meglio restare a qualcosa di veloce.

Citavi in quest’intervista come ti venne detto che in Giappone si cucina su misura per i gusti di un ospite. Quanto è possibile veramente farlo?

Quando il cliente rinnova capisci cosa ama di più, se ti lascia fare il menu, nel tuo database hai lo stile che preferisce: magari la creatività e l’azzardo, magari invece è di gusto più classico e piacione. Se ti lascia fare è più semplice, lo puoi sorprendere e soddisfare, ma la maggior parte delle volte non è possibile: è più difficile, devi lavorare al buio.

Andiamo all’estremo, dalla persona più conosciuta che tutti abbiamo. Le prime ricette che ricordi, da bambino, le cucini ancora o ci sarebbe bisogno della mano della mamma?

Diciamo tutti che la cucina della mamma è la migliore, perché ti cucina solo cose che sa che ti piacciono. Mi ricorderò sempre il suo tiramisù, quando tornavo da lavori all’estero trovavo sempre il tiramisù in frigo, quel gusto lì me lo immaginavo già in viaggio, di mangiare una cucchiaiata di quel tiramisù. Sono cose uniche, non è giusto ricrearle: ok la ricetta, ok la mano ma poi è il momento a rendere speciale una cosa. Puoi mangiare delle chips con gli amici, con una persona che ti piace in un momento speciale, e quella è la cosa più buona per te.

Grant Achatz spiega al WSJ che se tratti una cosa come un trofeo, non la puoi gustare con la giusta mentalità. E che per lui una bottiglia di vino da 9 o da 300 dollari sono uguali: vanno entrambe gustate per quello che sono – succo d’uva. Cosa è per te il lusso? Una bottiglia di pregio, magari da collezione?

Il lusso è sicuramente berla, prima poterla acquistare e poi aprirla anche se è rara. Poi lusso è poterla bere con gli amici, non solo poterla avere. Lusso è anche poter raccogliere quelle 45 file di patate da quel cru migliore che conosci solo tu.

Ti devo interrompere: per te orto o bottiglia?

Sì, l’orto, è quello che mi da più soddisfazione: poter prendere vegetali, fiori, germogli. E’ un lusso perché non risparmi, io ho due persone che ci lavorano tutti i giorni, non c’è sabato nè domenica nell’orto, è come avere due persone in più stipendiate in cucina, specialmente con questo tempo che c’è ora, son la che muoiono già di mattina, con i trattamenti in biodinamica prima dell’alba e dopo il tramonto.

Adria dice che la cucina ad un certo livello diventa filosofia, che non bisogna nemmeno andare incontro ai gusti del pubblico. Dice che bisogna studiare, come una discussione su di un architetto famoso, bisogna conoscerlo prima di parlare. Ma l’arte non è qualcosa di universale che sa comunicare a tutti indistintamente, a prescindere dalla cultura?

Eh, però quando hai a disposizione l’opera che la guardi e la studi è una cosa, quando interviene il gusto o lo stile del gusto è diverso. E’ importante capire la filosofia del cuoco prima di andarci a pranzo, capire il tipo di ristorante prima di sedersi. Se vuoi venire in langa a mangiare agnolotti e brasato, non ti conviene venire da noi, o magari ti fermi sotto alla nostra trattoria. O vai da un collega tradizionalista. Io, venendo da fuori, dalla lombardia, mi sento più libero di andar oltre alla tradizone. Per questo è importante conoscerci, per non aspettarsi una cosa e trovarsene un’altra. Son d’accordo con Ferran.

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ultimo aggiornamento: 21-06-2013