Da giorni, uno degli argomenti bollenti di cui si parla ovunque, dai notiziari ai saloni del parrucchiere, è il braccio di ferro trasversale tra favorevoli al Ddl Zan e contrari. Diciamo trasversale a ragion veduta perché, mai come in questo caso, la lotta non ha colore e allo stesso tempo li ha tutti. Segno che l’argomento scuote corde personali, indipendenti dal credo politico, ma altrettanto indipendenti da quello religioso.

In ogni caso, la lotta resta tra i due titani di sempre, Chiesa e Stato, nonostante dall’una e dall’altra parte ci siano cori che dissentono sul comune pensiero. C’è chi si schiera con foga, chi fa spallucce, chi evita di dire la sua apertamente, chi pensa che quello che sta succedendo in Italia, nel giugno del Pride, non sia affare suo. E sbaglia.

Diceva Frank Zappa, che si può amare o odiare, ma resta uno degli artisti più brillanti del XX secolo, che la mente è come un paracadute, non funziona se non la si apre. Quindi, con tutto il rispetto per quelli che amano l’idea di schiantarsi al suolo, oggi parleremo di Ddl Zan, Concordato e diritti umani, cercando di smantellare la tesi secondo cui il primo sarebbe lesivo del secondo e non avrebbe nulla a che fare con i terzi.

E soprattutto quella secondo cui le questioni arcobaleno debbano riguardare soltanto aderenti e simpatizzanti del mondo LGBT+.

Iniziamo con un po’ di storia

Libera Chiesa in libero Stato, disse un bel giorno Cavour, all’indomani della proclamazione del Regno d’Italia. La frase, che Camillo Benso prese in prestito dal filosofo e teologo Alexandre Rodolphe Vinet, il quale la usò nelle sue celebri “Memorie in favore della libertà di culto” del 1826, lasciava intendere che per una buona convivenza tra Chiesa e Stato, non si poteva che passare dalla separazione dei poteri.

Detta in parole povere? Il Papa poteva pascolare le anime in grazia di Dio, è il caso di dirlo ed esercitare così il suo potere spirituale, ma doveva rinunciare a quello temporale. Cavour era convinto della bontà della cosa, Vittorio Emanuele II pure, Papa Pio IX manco per nulla. Tanto che, con una brillante uscita di scena, di quelle da grande pièce teatrale, al crollare dello Stato Pontificio in quel 20 settembre del 1870, decise di chiudersi in Vaticano, dichiarandosi prigioniero.

Questa è la storia, con una Chiesa rimasta “offesa” con Re e Governo fino ai Patti Lateranensi del 1929, quando Mussolini decise che era arrivato il momento di lisciare il pelo ad un potenziale alleato, di quelli con grande appeal sulle masse. E dunque, istituita Città del Vaticano, su cui la Santa Sede aveva totale sovranità, attraverso il Trattato, il documento veniva perfezionato con un Concordato.

In questo, oltre a stabilirsi cosette tipo l’esenzione del servizio militare per il clero, si dava al cattolicesimo la promozione a culto di Stato. Così il crocifisso entrava ufficialmente nelle scuole laiche, insieme all’ora di religione.

Cosa dice il Ddl Zan

Domanda provocatoria: quanti di voi hanno letto il Ddl Zan? Il buon Gramsci diceva: “L’indifferenza è il peso morto della storia”, ergo, fare finta che le cose intorno a noi non accadano o accontentarsi del pasto premasticato fornito dai media o dal sentito dire, non è benefico né per sé stessi né per gli altri. Una scorsa veloce dategliela, consiglio da amica.

Il testo parla chiaro, la proposta è una modifica di alcuni articoli del codice penale e di procedura penale, di un decreto legge, di un decreto legislativo e di una legge. In più chiede l’istituzione di una giornata nazionale contro omofobia, lesbofobia, bifobia e transfobia e chiosa con la necessità di attivare una sorta di osservatorio statistico per avere contezza numerica degli atti discriminatori su cadenza triennale. Nessuna grande rivoluzione, solo una lieve aggiunta di riferimenti all’identità di genere, ove si parla appunto di discriminazioni.

Ad esempio, il restyling dell’articolo 604-bis del codice penale, che cita: “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito: a) con la reclusione fino ad un anno e sei mesi o con la multa fino a 6.000 euro chi propaganda idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico, ovvero istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi”, vedrebbe l’addizione in coda di “oppure fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere o sulla disabilità”.

A guardare con attenzione e manco troppa, visto che il Ddl Zan non esige grande capacità ermeneutica del lettore, tutti gli articoli del disegno di legge non mirano ad altro che a dare ulteriori specifiche. Non stravolgono i testi, semplicemente inseriscono nuovi soggetti beneficiari di una maggiore tutela.

La proposta di modifica dell’art. 90-quater del codice di procedura penale, dove si parla di condizioni di particolare vulnerabilità, fa ancora più chiarezza in merito. C’è un “si tiene conto se il fatto risulta commesso con violenza alla persona o con odio razziale” al primo comma, a cui si aggancerebbe un “o fondato sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere”.

In poche parole, è tutta una questione di pesi e contrappesi: chi è vittima di violenza a sfondo razziale, ad oggi, è considerato soggetto particolarmente vulnerabile. Perché non dovrebbe esserlo anche chi subisce un’aggressione in quanto omosessuale o transessuale?

In che termini il Ddl Zan violerebbe il Concordato, quindi?

E arriviamo al dunque. Il famoso Concordato, messo nero su bianco con la stesura dei Patti Lateranensi, è stato riveduto nel 1984, sotto il governo di Bettino Craxi. L’articolo a cui si è appellata la Santa Romana Chiesa per bloccare il Ddl Zan è il secondo, più precisamente comma uno e tre.

Qui si parla rispettivamente della libertà della Chiesa di svolgere la sua attività pastorale, educativa e caritativa, come anche della libertà per i cattolici di riunirsi e manifestare il proprio pensiero con parola, scritto e altro mezzo di diffusione. E quindi? Quindi qualcuno si è evidentemente sentito bloccato nella sua espressione, diciamo così, di dissenso spirituale.

Il Ddl Zan titola chiaramente Misure di prevenzione e contrasto della discriminazione e della violenza per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità. Si previene. Si previene e si contrasta la discriminazione, anche quella malauguratamente sbocciata su un pulpito durante una Santa Messa domenicale.

Nessuno sta dicendo che accade, per carità, croce sul petto. Ci fermiamo nella fosca terra delle ipotesi, per dire che sì, qualcuno forse potrebbe considerare limitativo della propria libertà di pensiero, parola ed opere il disegno di legge in questione. Qualcuno che non organizza le manifestazioni di piazza pro famiglia classica e anti unioni civili, ma si gode comunque da lontano il risultato. Sempre immerso nel già citato territorio ipotetico, chiaramente.

Democrazia, democrazie e diritti umani

Di vie da imboccare per la chiusura di questo articolo ne avevo molte, ma quella tecnica mi è sembrata la più indicata, perché razionalità batte emotività in questo caso. O lo fa per lo meno a livello di efficacia. Ed ecco che vi cito Robert Alan Dhal, esimio politologo del secolo scorso, che ha passato la sua vita ad analizzare la democrazia.

Un qualunque studente di scienze politiche al primo anno se l’è trovato dinanzi almeno una volta, quando, sfogliando IL manuale, ha storto il naso guardando un disegnino denominato Scatola di Dahl. Un piccolo escamotage grafico usato per spiegare il passaggio da un regime di egemonia chiusa ad una poliarchia, o democrazia di massa.

Lo studioso dedusse, per farla breve, che attraverso la maggiore possibilità di dissentire da parte della base sociale e una maggiore inclusione di tali soggetti nelle decisioni pubbliche, si potesse arrivare in modo più o meno celere ad un sistema democratico. Primo passo, il riconoscimento effettivo dei diritti civili della cittadinanza.

Ecco dove volevo arrivare, ai diritti. Il Ddl Zan e le sue misure di prevenzione, persino blande, nei confronti della violenza per motivi di orientamento sessuale, andrebbero a tutelare quelli che nell’ambito dei diritti umani vengono definiti come di prima generazione. Ne sono un esempio il diritto alla vita e all’integrità fisica, come anche la libertà di pensiero.

Ora, secondo molti il disegno di legge di cui stiamo parlando è un di più, qualcosa di utile ma non vitale, un diritto di terza generazione diremmo. Ma non è proprio così. Qui ci mettiamo con tanto affetto Greta Thunberg e la sua crociata per un pianeta più verde e salutare, ma impegnarsi affinché nessuno mai debba sentirsi minacciato o offeso per la sua identità di genere, o picchiato, emarginato e additato, come ad oggi spesso accade, è tutta un’altra storia.

Dahl non aveva considerato processi inversi, una volta arrivati alla piena democratizzazione. Ma lui era nato in Iowa, negli USA, aveva una visione lucida del contesto, ma comunque distaccata. Fare un passo indietro però nel percorso che approda alla poliarchia, negando o limando dei diritti civili, volere o volare, significa una cosa sola, allontanarsi dalla democrazia.

Ecco perché insisto sul fatto che il Ddl Zan interessa tutti, perché qui non si sta parlando di desideri di una minoranza, ma di un bisogno della collettività, quello legato alla vita, alla sicurezza, all’autodeterminazione e all’eliminazione degli ostacoli affinché tutto questo possa realizzarsi.

Le conclusioni doverose

Se ve lo state chiedendo, io sono Mirangela, 35 anni, razza caucasica, etero, nata in Italia da genitori italiani. Una banalissima donna trovatasi in un contesto sociale “semplice”, che non ha passato un solo giorno in gattabuia perché ha manifestato per il suo diritto di voto né ha dovuto bruciare il suo reggiseno in piazza per rendere legale l’aborto. Qualcun’altra lo ha fatto per me, per noi, spianandoci la strada.

Questa donna, tuttavia, resta convinta del fatto che ci siano ancora tante battaglie da combattere e che una delle eredità migliori che possiamo lasciare alle generazioni future, oltre ad un mondo meno inquinato, è uno dove puoi svegliarti accanto ad un uomo, una donna o in perfetta solitudine senza che qualcuno rivendichi l’obbligo di farti sentire sbagliato.

Anche le omissioni pesano per la morale cristiano cattolica. Forse da quei pulpiti domenicali dovrebbero arrivare messaggi di scuse e di amore incondizionato per il prossimo. E parimenti, dagli scanni, un po’ di indignazione tutte le volte che questo non avviene, tanto per cominciare.

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ultimo aggiornamento: 25-06-2021