Le Ferrari barchetta si legano in modo intimo al mito di Maranello. Di tale natura era la 125 S, prima “rossa” di tutti i tempi. Oggi abbiamo scelto per voi 3 esemplari della specie che si prestano al meglio per gli eventi più esclusivi in pista, dove il loro fascino e la loro storia fanno la differenza. Seguiteci nel nostro viaggio alla loro scoperta.

Ferrari 250 TR

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Nel palmares della Testa Rossa ci sono tre mondiali marche: quelli del 1958, 1960 e 1961. Gli 800 kg di peso sono lanciati alle velocità più elevate da un robusto 12 cilindri di origine Colombo, affinato da Carlo Chiti. Alimentato da 6 carburatori Weber, sviluppa una potenza di 300 Cv a 7200 giri al minuto. Il suono che emana produce immense scariche di adrenalina. E’ un vero piacere assistere al passaggio di questa opera d’arte.

La vettura “clienti” debutta nel novembre del 1957 e nasce sulla spinta delle evoluzioni regolamentari previste per la stagione successiva, che mirano a ridimensionare le prestazioni, per evitare gli eccessi dei bolidi più grossi. L’autorità sportiva internazionale ritiene che un buon viatico per ottenere lo scopo sia di ridurre a 3 litri la cilindrata delle Sport.

Da Maranello arriva con grande tempismo questa pungente arma, che aderisce al rigore delle nuove norme. La versione definitiva giunge a rimpiazzare la 500 TRC, con la quale condivide alcune architetture tecniche. Rispetto ad essa è molto più rabbiosa. Il suo debutto agonistico avviene nel gennaio del 1958, alla 1000 km di Buenos Aires, dove ottiene una magnifica doppietta, con Hill e Collins primi, seguiti da Von Trips, Gendebien e Musso, giunti alle loro spalle.

La Testa Rossa è un vero rullo compressore. Miete successi nelle più disparate gare, a partire da Sebring. Vince la Targa Florio con Musso e Gendebien, che si ripeterà (in coppia con Hill) alla 24 Ore di Le Mans, consegnando alla Ferrari l’alloro iridato con una gara di anticipo. Hawthorn e Collins arrivano secondi alla 1000 km del Nurburgring. Nel 1959 si arricchisce dei freni a disco e di altre significative modifiche, che riducono il peso, fermando l’ago della bilancia su un valore inferiore di 50 Kg. La carrozzeria, realizzata da Fantuzzi, viene affinata dal maestro Pinin Farina, che la rende più fluida.

Spariscono le profonde feritoie di raffreddamento dei tamburi e il muso assume una diversa caratterizzazione. Diventa monolitico e a corpo unico, senza la scalfiture che tanta personalità davano alla versione precedente. In alcuni esemplari spunta un cupolino trasparente in plexiglas nel cofano motore, che lascia ben in vista i tromboncini di aspirazione. Una soluzione, quella di far vedere gli organi meccanici, ripresa da altri modelli di produzione successiva. Ma l’eredità più grande lasciata dalla 250 TR è la testimonianza storica.

Arriva prima e seconda alla 12 Ore di Sebring del 1959, con Hill e Gendebien seguiti da Behra e Allison, e coglie altri importanti piazzamenti, non sufficienti a consegnarle l’alloro iridato. Sulla stagione pesano sfortunate circostanze, come la scomparsa di alcuni piloti che avrebbero potuto regalarle un palmares più luminoso. A fine anno, nella classifica assoluta, la Ferrari sarà seconda, alle spalle dell’Aston Martin. Il bolide del “cavallino rampante” vince comunque la sfida con la Porsche, che giunge solo terza.

La nuova TRI del 1960 consegnerà alla Casa emiliana il settimo Campionato Mondiale Marche. Spinta da un’evoluzione del motore 3 litri, ora dotato di iniezione, lubrificazione a carter secco e sospensioni posteriori a ruote indipendenti, è ancora più estrema. Con questa vettura Olivier Gendebien e Paul Frere vinceranno una memorabile e decisiva edizione della 24 Ore di Le Mans. Grande l’evoluzione stilistica segnata dalla versione 1961, molto più attenta all’aerodinamica.

Il cofano posteriore –alto e massiccio- diventa piatto, con spoiler terminale e coda tronca, figlia di una felice intuizione di Giotto Bizzarrini, che la trasferirà sulla Gto. Il parabrezza avvolge l’abitacolo, con un raccordo laterale che sigilla la parte superiore della carrozzeria. Il rinnovato frontale si compone di due prese d’aria a narici di naso. La carriera della Testa Rossa si chiuderà ufficialmente con un congedo di alto livello: un’altra vittoria alla 24 Ore di Le Mans! Il titolo iridato è ancora una volta nelle mani della Ferrari.

Ferrari 500 TR

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La Ferrari 500 TR è il nuovo modello da competizione targato Maranello per il 1956. Deriva strettamente dalla “500 Mondial”, che rimpiazza. Il lavoro di affinamento si concentra su interventi che mirano ad accrescere l’efficienza del sistema. Numerose modifiche di dettaglio contribuiscono ad elevarne il rendimento. Il motore di due litri è un quattro cilindri in linea disposto anteriormente, in senso longitudinale.

E’ un’unità di origine Lampredi, profondamente rivista da Alberto Massimino. Rispetto al propulsore della progenitrice cambiano il monoblocco e l’albero motore (entrambi rinforzati), gli ingranaggi della distribuzione e il volano (alleggerito). Resta invariata la cubatura. Per distinguere le due unità propulsive, sulla nuova nata i coperchi delle punterie vengono dipinti in rosso. Questa soluzione porta all’appellativo che contraddistingue la filante barchetta voluta da Ferrari.

La comune matrice dei due modelli si evince dalla presenza della sigla MD (Mondial) sui codici identificativi del telaio della sua erede. Nessuno può negare la loro parentela. Il monoblocco cilindri e il basamento sono in silumin con canne riportate. Due carburatori doppio corpo della Weber alimentano il piccolo propulsore, che eroga la ragguardevole potenza di 180 cv a 7000 giri al minuto. Un valore significativo per un’auto di appena 680 kg di peso. Il telaio, sensibilmente rivisto, è un traliccio in tubi di acciaio di diametro ridotto che supporta la filante carrozzeria in alluminio.

Una novità di grande rilievo, per una “rossa” a quattro cilindri, è il cambio disposto all’avantreno in blocco col motore (verificare questa frase, anche se va bene). Sulla “500 TR” fanno la loro comparsa le molle elicoidali sulle sospensioni anteriori, mentre al retrotreno permane il classico assale rigido. Prodotta in diciassette esemplari (quindici TR e due TRC), è un’auto voluttuosa, che sfoggia una riuscita tridimensionalità. La sua costruzione viene affidata a Scaglietti, che plasma magicamente la materia, per dare vita alle splendide forme tracciate dal genio di Pinin Farina.

E’ un bolide da corsa, ma non teme le passerelle dei concorsi di eleganza. Il parabrezza, poco inclinato, è aerodinamicamente nocivo, ma la scienza dei flussi non ha ancora attecchito. Nasce in un epoca diversa, nella quale l’intuito prevale sulle sperimentazioni in galleria del vento. Il frontale è snello e spiovente, curvato con grazia verso l’asfalto. Una vistosa feritoia dietro il passaruota anteriore agevola l’evacuazione dell’aria calda proveniente dal vano motore. L’avvolgente coda sfodera un fascino magnetico. Perfette le proporzioni tra i volumi, il cui superbo equilibrio si esalta nella vista laterale, che sfoggia una profilo fluido e gentile. Alle spalle del pilota spicca una riuscita protuberanza, che si collega armonicamente al blocco posteriore. Il conducente può carenare il lato passeggero, per migliorare la scorrevolezza in pista.

L’esordio in gara avviene al Gran Premio di Dakar del 1956. Il pilota Jacques Swaters prevale nella categoria 2 litri. A fine marzo Porfirio Rubirosa vince la sua classe alla 12 Ore di Sebring. Notevoli gli exploit conseguiti dai clienti privati, che conquistano spesso il podio nel proprio raggruppamento. Il principe Gaetano Starabba di Giardinelli, spinto dal calore del suo pubblico, ottiene il terzo posto al Giro di Sicilia. La sua è la prima Testa Rossa venduta in Italia!

Al Gran Premio Supercortemaggiore di Monza l’auto, condotta da Peter Collins e Mike Hawthorn, raccoglie addirittura la vittoria assoluta. Significativo anche il quinto posto alla 12 Ore di Reims di Picard e Manzon. Con Phil Hill arriva il successo alla 5 Ore di Messina, che si disputa in notturna. La sua evoluzione, denominata 500 TRC (in ossequio all’allegato C del Codice Sportivo Internazionale), non sarà impiegata in forma ufficiale. Il cuore è identico a quello della versione precedente, ma il telaio si appropria di un interasse più lungo. La scelta consente una diversa disposizione di sospensioni e motore, con evidenti vantaggi in termini di guidabilità.

Anche dall’esterno la “rossa” appare più svelta, col cofano basso e i passaruota sinuosi. E’ il felice risultato delle innovazioni strutturali, che consentono di abbassare il posizionamento del propulsore. I conduttori si presentano alle verifiche con una goffa capotina in tela, prontamente asportata prima delle gare. Le TRC corrono coi colori delle scuderie private e vincono a iosa. La piccola due litri del “cavallino rampante” interpreta bene la sua missione e si afferma ripetutamente.

Ferrari 375 Plus

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La Ferrari 375 Plus nasce come sviluppo della 375 MM e consegna alla Casa di Maranello un altro Campionato Mondiale Costruttori. E’ il secondo sigillo iridato per la piccola azienda del Commendatore, destinata a scrivere i versi più belli della romantica poesia del motorismo.

I lineamenti della carrozzeria non le daranno accesso alle alte sfere del design, ma esprimono correttamente il lessico della forza sportiva che l’auto possiede. La sua missione è vincere e l’obiettivo sarà centrato. I tifosi del “cavallino rampante” avranno di che gioire. La prosperosa sagoma della 375 Plus, che evoca fortemente le prestazioni di cui è capace, mira a soddisfare le pure esigenze funzionali. Per questo l’alluminio si limita a fasciare la nobile meccanica che ne anima le fasi dinamiche. Il risultato è interessante, ma altri prodotti Ferrari interpretano meglio le necessità tecniche.

La nuova collocazione del serbatoio e della ruota di scorta determina il massiccio rigonfiamento alle spalle dell’abitacolo. Questo è delimitato sul lato destro da una vistosa appendice, che cerca di armonizzare la protuberanza col resto della carrozzeria. Sembra la pinna di uno squalo vorace, pronto ad aggredire le prede. Così sarà! Il motore, davvero gagliardo, è il suo punto di forza. Di chiara matrice agonistica, sprigiona energia pura, fieramente esibita da ognuno dei 330 scalpitanti cavalli. E’ un diretto discendente di quello delle monoposto dei primi anni Cinquanta. Disposto anteriormente, in senso longitudinale, sfoggia una cilindrata di 5 litri.

Grazie agli affinamenti effettuati nel corso della stagione la potenza subirà un significativo incremento, passando a 347 CV. Un valore mostruoso, capace di consegnare ricordi indelebili agli appassionati che assistono alle prove di casa. Memorabili le tracce di gomma lasciate sull’asfalto da Mike Hawthorn durante i suoi allenamenti a Maranello. I poveri freni a tamburo sono chiamati a un’immane fatica, nel tentativo di rallentare la foga del bolide “rosso”. Il telaio è costituito da un fitto reticolo in tubi di acciaio sul quale si adagia la carrozzeria in alluminio.

Per ospitare al meglio il corposo 12 cilindri, il passo viene accresciuto a 2.60 metri. Questa misura si ripeterà spesso nella storia della Casa di Maranello, diventando lo standard per le versioni Lwb della gloriosa serie 250. Il peso di ciascuno dei 6 esemplari prodotti si attesta sui 900 Kg. La scheda tecnica pone delle ottime premesse e l’auto si affezionerà presto al gradino più alto del podio. Nino Farina è primo al Gran Premio d’esordio, che si disputa sul circuito di Agadir il 28 febbraio del 1954. Sembra proprio che un’occulta regia abbia voluto destinare un omaggio al Commendatore, che dieci giorni prima festeggiava il suo cinquantaseiesimo compleanno.

Nelle settimane successive la 375 Plus viene iscritta al Giro di Sicilia, per testare l’efficienza delle modifiche ideate da Aurelio Lampredi. Sulle impervie strade isolane la creatura, guidata da Umberto Maglioli, detta subito il ritmo, prima di essere costretta al ritiro dalla perdita di una ruota nei pressi dell’abitato di Enna. Lo sfortunato “allenamento” non sortisce gli effetti sperati e le vetture impegnate nella maratona bresciana, condotte da Umberto Maglioli e Nino Farina, non brilleranno, a causa della fitta pioggia e del tormentato manto stradale, che le rende ingovernabili.

L’aitante “rossa” sembra eccessiva rispetto al contesto ambientale in cui è costretta ad esprimersi. La rivincita non tarderà ad arrivare e, con guida funambolica, Josè Froilan Gonzales riesce ad aggiudicarsi la prova che si disputa sul veloce circuito di Silverstone. La freccia scarlatta arriva prima anche alla 24 Ore di Le Mans, con Gonzales e Trintgnant, e alla Carrera Panamericana, con Umberto Maglioli. Una buona annata per un modello che ha ben meritato il “cavallino rampante” incassato sul cofano, conquistato a suon di galloni sui campi di gara. Un’altra felice parentesi della storia Ferrari è stata scritta.

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ultimo aggiornamento: 05-09-2014