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Monet all’apice della sua carriera è a Giverny. Qui si trasferisce nel 1883 circondato dalla natura selvatica del luogo, dai colori e da una luce più intensa che a Parigi. Lavora moltissimo come rivelano le sue lettere e vede poco, colpito da una cecità che gli rende atroce qualsiasi zona luminosa. Per trent’anni dal 1895 al 1926 dipinge le Ninfee e non abbandona il soggetto nemmeno adesso, intenzionato a “dipingere la bellezza dell’aria”, allontanandosi dall'”ambizione di essere popolare”.

Furono dodici le tele con le Ninfee che Monet decide di donare nel 1920 allo Stato francese per collocarle nel giardino del Hotel Biron (Musée Rodin), ma alla fine furono esposte all’Orangerie dove lavora con un architetto per l’allestimento. I giardini di Monet con le Ninfee di Giverny, i suoi stagni e i ponti sospesi sono più di 200, di piccole e grandi dimensioni. Un’ossessione pittorica, che nasce dalla passione per le stampe giapponesi decorate con fiori di pesco e pochi altri elementi, essenziali, come è la natura.

Ma l’artista anziano, sempre più schivo, con la barba lunga dove sembrano nascondersi alla perfezione l’ostinazione pittorica e l’angoscia sull’esistenza, non smette di cercare l’armonia, aprendo spazi en plein air. Un soggetto semplice: le ninfee nel loro habitat naturale, l’acqua che riflette il cielo, cattura i colori circostanti e si confonde con l’aria.

E’ proprio la percezione dello spazio tra sè e la natura che Monet vuole riprodurre, quella distanza che non gli consente di vedere tutto in un solo sguardo. All’Orangerie le pareti curve dove sono allestite le grandi tele ricreano proprio quella percezione dinamica di una passeggiata solitaria nella natura.

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ultimo aggiornamento: 31-05-2016