[blogo-gallery id=”248514″ layout=”photostory” title=”Panizza cappelli: intervista a Laura Gamba, l’eccellenza nell’essenza del prodotto” slug=”panizza-cappelli-intervista-a-laura-gamba-leccellenza-nellessenza-del-prodotto” id=”248514″ total_images=”155″ photo=”0,1,2,3,4,5,6,7,8,9,10,11,12,13,14,15,16,17,18,19,20,21,22,23,24,25,26,27,28,29,30,31,32,33,34,35,36,37,38,39,40,41,42,43,44,45,46,47,48,49,50,51,52,53,54,55,56,57,58,59,60,61,62,63,64,65,66,67,68,69,70,71,72,73,74,75,76,77,78,79,80,81,82,83,84,85,86,87,88,89,90,91,92,93,94,95,96,97,98,99,100,101,102,103,104,105,106,107,108,109,110,111,112,113,114,115,116,117,118,119,120,121,122,123,124,125,126,127,128,129,130,131,132,133,134,135,136,137,138,139,140,141,142,143,144,145,146,147,148,149,150,151,152,153,154″]

Deluxeblog ha intervistato Laura Gamba, Amministratore Delegato di Panizza, che produce i migliori cappelli al mondo dal 1879, anno in cui nasce, grazie alla cura e al genio di Giovanni Panizza, capostipite di una lunga stirpe di esperti cappellai italiani. Qualche anno più tardi, nel 1881, poiché l’impresa sembra promettente, i soci fondatori formalizzano davanti al notaio la società Panizza come la conosciamo oggi. In seguito poi verrà acquistato il cappellificio storico che oggi è sede in parte dei locali del museo Panizza nominato Museo dell’Arte del Cappello proprio per evidenziare che la cultura manufatturiera e artigianale del cappello era propria di quella zona del Lago Maggiore (Intra-Ghiffa).

Infatti Giovanni Panizza, a cui si deve il nome, era stato per anni a lavorare presso gli altri cappellifici della zona ed in particolare presso il cappellificio Albertini, che venne poi da questi insieme a gli altri soci della pagliuzza S.p.a., acquistato negli anni a venire. Infatti oggi il cappellificio Falcus, sede della manifattura Panizza a partire dai primi anni ’80, produce sia Panizza che Albertini, prodotti della stessa famiglia con lievi differenze di prezzo finale al consumatore a ragione di una qualità inferiore. In realtà la storia di Panizza non è sempre andata in crescendo; infatti durante la guerra vi fu un forte ridimensionamento per poi tornare al massimo della produttività nei primi anni ‘50. Gli anni ‘70 furono anni di crisi per tutto il settore poiché il cappello fu oggetto di ostracismo per chi aveva fatto il ‘68 e ne vedeva l’icona delle generazioni precedenti. Per tale ragione, alla fine di quei tormentosi anni, si è deciso che bisognasse preservare quello che è sempre stato il carattere principale di Panizza, ovvero la qualità altissima e l‘artigianalità.

A guisa di tal fatto si è trasferita la produzione e il know how presso gli amici, ed oggi soci, del cappellificio Falcus, che all’epoca era specializzato nella produzione di berretti in tessuto e nella lavorazione del feltro prima del sua trasformazione in cappello. A partire dagli anni ‘80 questo mercato è diventato un mercato di nicchia, cosa che da un lato protegge e dall’altro ha i suoi limiti. In ogni caso gli anni ‘90 sono stati anni di ripresa e di espansione verso il mercato estero. Oggi, come ben sappiamo, il cappello è tornato di grande moda. Per tale motivo molti infatti si improvvisano o si riscoprono anch’essi cappellai. Questo è sicuramente il principio di una nuova sfida appassionante, poiché da un lato ci troviamo in quel momento di capitalismo, per quanto riguarda il mondo del cappello, dall’altro abbiamo la possibilità di ancora una volta di preservare e portare ad uno stato di internazionalizzazione la vera industria artigianale manifatturiera italiana in prima linea con i propri artigiani e non filtrata da sistemi a scatola cinese che allontanano il prodotto da chi lo produce e da chi lo consuma.

La nostra volontà, a prescindere dall’incremento delle vendite dei nostri cappelli, è diffondere la cultura di un buon prodotto di qualità che non ha poi un prezzo così differente dal prodotto di qualità inferiore riconoscibile solo da un nome o da un’etichetta. Il prodotto cappello nasce dalla materia prima animale e per tale ragione è un prodotto che deve, oggi più di ieri, essere responsabilizzato, e tale consapevolezza sulla qualità e la provenienza è una garanzia che dovrebbe essere obbligatoria per il consumatore finale. Per tale ragione noi usiamo feltri che vantano o qualità di atossicità o qualità di eticità. E facciamo rigorosi test per tutti gli altri componenti che utilizziamo nei nostri cappelli.

In cosa si riconosce un autentico prodotto Panizza?

La riconoscibilità dei prodotti Panizza, come anche quella dei concorrenti, non è cambiata nel tempo. Infatti ciascuno si è sempre distinto per un carattere diverso dall’altro. Borsalino, giusto per citarne uno, ha sempre puntato su un cappello molto elegante ed importante. Panizza invece nasce fin da subito con la vocazione al cosiddetto casual-elegante, comodo durante i viaggi. Non a caso le proporzioni del modello iconico Roma sono quelle di un fedora più contenuto, al fine di risultare più leggero per chi lo indossa e più adattabile all’abito che si indossa. Circa la portabilità in viaggio, Panizza ha sempre sviluppato la linea Bon Voyage, che già negli anni ‘50 studiava cappelli che si potessero indossare sia automobile, sia in treno che in aereo, di modo che non dessero fastidio sui poggiatesta. Oggi invece cerchiamo di fare prodotti che possono essere messi in tasca, e anche stropicciati, ma con la caratteristica di ritornare sempre in forma. Infine l’altra distinzione del cappello Panizza è lo stretto legame che vi è tra la qualità e il prezzo; infatti rinunciamo volentieri a margini più alti al fine di tenere qualità sempre eccellenti in ogni prodotto. Inoltre, ogni volta che un cappello Panizza presenta un difetto, che non sia dovuto un uso scorretto ovviamente, il nostro cliente si può rivolge a noi per ottenere una riparazione o una sostituzione.
 
Ci dice tre valori “Made in  Italy” che la Sua azienda traspone nei prodotti e in cosa possiamo rintracciare l’eccellenza di una produzione tutta italiana.

Innanzitutto per noi “Made in Italy” è già una definizione obsoleta. Infatti scriviamo ormai “Made in Tuscany”, dato che purtroppo il Made in Italy è stato ampiamente sfruttato anche da chi forse non era così originale. In ogni caso il cappellificio Falcus opera in Valdarno, zona da sempre votata alla produzione di feltro, al contrario della zona fiorentina che invece è sempre stata votata alla paglia. Le persone che lavorano con noi sono tutte originarie di Monte Varchi e hanno tutto avuto parenti nelle generazioni precedenti che hanno lavorato per cappellifici. Tale storia porta ad avere un rapporto viscerale con l’azienda e un amore per il prodotto, oltre che a una cultura di esso, che non hanno pari; infatti, quando capita di dover formare il personale, ci occorrono minimo tre anni per insegnare ad un’operaia il minimo indispensabile di quello che dovrebbe conoscere per poter svolgere al meglio il suo lavoro. Per concludere quello che secondo noi è il cuore del Made in Italy non è tanto il fatto che la materia prima provenga dall’Italia ma sta nel saper scegliere come uno chef gli ingredienti giusti per poi arrivare a quell’eccellenza nel prodotto che è la vera natura e l’essenza di quello che una volta era il significato del marchio Made in Italy. Infatti negli anni ’50, quando i grandi magazzini americani venivano a cercare le nostre fabbriche e manifatture per produrre e marchiare con i loro marchi, quello che li portò a scegliere l’Italia e non altri paesi fu l’eccellenza della qualità e dell’incredibile rapporto qualità-prezzo rispetto al loro mercato. Quindi tornando alla metafora dello chef, l’eccellenza della cultura non sta solo nel saper scegliere gli ingredienti migliori, ma sta nel come trasferire tutta questa qualità nel prodotto finito.

In che modo la Sua Azienda concilia la tradizione del Made in Italy con l’innovazione e l’arte del saper fare.  

L’innovazione nel nostro settore è concentrata non solo nel creare un prodotto che sia moderno e contemporaneo, ma soprattutto nel ricercare materie prime che permettano di aumentare le caratteristiche positive del cappello e soprattutto trovare il modo o creare le macchine che permettano di perseguire il proprio scopo. Infatti i macchinari per la produzione del cappello non sono più prodotti da nessuno e per tale ragione se si vogliono modificare per arrivare a determinati risultati debbono essere modificati direttamente in casa; stesso discorso vale per la riparazione. Quello che reputo importante è che l’arte del saper fare non debba andare persa, cosa ormai purtroppo frequente perché non si è dato il giusto valore a quell’arte di saper fare quella determinata cosa. È giusto che i consumatori mantengano la possibilità di scegliere prodotti di diversa qualità a seconda delle proprie esigenze, ma nel momento in cui vogliono arrivare a prodotti di qualità non devono necessariamente essere bloccati da prezzi esorbitanti.

Il Made in Italy inteso come tradizione di eccellenza tutta italiana, può avere un ruolo nel rilancio economico della nostra nazione?

Trovo che l’industria manifatturiera italiana debba avere, insieme ad altri settori, un ruolo centrale per il rilancio dell’economia nazionale. Infatti siamo un Paese molto fortunato, che a parità di paesi più grandi e con più risorse, riesce a competere per intelligenza, capacità e possibilità. Bisogna evitare che accada come negli anni ‘70 con le campagne, che sono state inizialmente abbandonate per poi essere riscoperte in questi anni dai discendenti, che ne rivalutano oggi il valore e la qualità tutta italiana. Infatti l’industria manifatturiera, che traina di fatto l’economia, è la base poi di qualunque rilancio si voglia fare poiché è quella che crea la ricchezza tra la popolazione. Fatta questa premessa purtroppo occorre anche considerare che l’industria della moda è soggetta a una continua sollecitazione nella velocità di azione e nella proposizione di sempre qualcosa di nuovo o qualcosa di vecchio che sembri nuovo. Questo va visto come un’opportunità per continuare a interrogarsi su cosa sia e quale sia il senso di una manifattura italiana, cosa dia di diverso rispetto ad altre e quale sia la sua caratteristica. Bisogna guardarsi intorno e capire cosa ci sia di buono negli altri e razionalizzarlo per poi proporlo con la propria sfumatura e il proprio carattere. Questa è la chiave della tradizione dell’eccellenza italiana.

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ultimo aggiornamento: 16-07-2015