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Poesie sulla guerra, per sperare di non essere più ‘quello della pietra e della fionda’

Poesie sulla guerra, per sperare di non essere più 'quello della pietra e della fionda'

Vi presentiamo una selezione di poesie sulla guerra per riflettere su un argomento che, purtroppo, ancora oggi non è stato sconfitto.

Di poesie sulla guerra ce ne sono tantissime, molte delle quali scritte nei primi cinquant’anni del Novecento, quando la Prima e la Seconda Guerra Mondiale hanno distrutto le vite di milioni di persone. Vi proponiamo una selezione dei più bei componimenti sul tema.

Le più belle poesie sulla guerra

La guerra ha fatto parte della storia del genere umano fin dagli albori. Eppure, dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale ci si aspettava che i popoli avessero imparato a convivere in pace. Gli orrori del conflitto risuonano ancora oggi, si leggono sui volti dei pochi sopravvissuti che sono ancora in vita. Nonostante tutto, le maggiori potenze del pianeta continuano a coinvolgere i cittadini, con metodi più o meno leciti, indottrinamenti che risuonano sempre identici, in battaglie che vanno a soddisfare e arricchire soltanto i vertici. Per riflettere su quanto accade ogni giorno nel mondo, in Paesi più o meno remoti, vi proponiamo una selezione delle più belle poesie sulla guerra.

Uomo del mio tempo di Salvatore Quasimodo

Sei ancora quello della pietra e della fionda,
uomo del mio tempo. Eri nella carlinga,
con le ali maligne, le meridiane di morte,
t’ho visto – dentro il carro di fuoco, alle forche,
alle ruote di tortura. T’ho visto: eri tu,
con la tua scienza esatta persuasa allo sterminio,
senza amore, senza Cristo. Hai ucciso ancora,
come sempre, come uccisero i padri, come uccisero
gli animali che ti videro per la prima volta.
E questo sangue odora come nel giorno
quando il fratello disse all’altro fratello:
«Andiamo ai campi». E quell’eco fredda, tenace,
è giunta fino a te, dentro la tua giornata.
Dimenticate, o figli, le nuvole di sangue
Salite dalla terra, dimenticate i padri:
le loro tombe affondano nella cenere,
gli uccelli neri, il vento, coprono il loro cuore.

Valmorbia di Eugenio Montale

Valmorbia, discorrevano il tuo fondo
fioriti nuvoli di piante agli asòli
Nasceva in noi, volti dal cieco caso,
oblio del mondo.
Tacevano gli spari, nel grembo solitario
non dava suono che il Leno roco.
Sbocciava un razzo su lo stelo, fioco
lacrimava nell’aria
Le notti chiare erano tutte un’alba
e portavano volpi alla mia grotta.
Valmorbia, un nome, e ora scialba
memoria, terra dove non annotta.

Marcia Notturna di Umberto Saba

Con le lanterne del tempo di guerra
si procede, e la luna ha un tenue velo,
tutte le chiare stelle ardono in cielo.
Oh, spegnete quei lumi, uomini, in terra!
Presso, nel mare, quell’argenteo gelo
trema, e ci segue. Ebbri di sonno, stanchi
di querelarsi e di cantare, i fanti
tornano sotto un luminoso cielo,
lungo il golfo che a me ricorda quello
dove nacqui, che a notte ha il tuo sorriso
malinconico, l’aria del tuo viso.
Cosi che intorno io mi ritrovi il bello
lasciato quando qui venni a marciare,
e i sonni dell’infanzia a ritrovare.

San Martino del Carso di Giuseppe Ungaretti

Di queste case
Non è rimasto
Che qualche
Brandello di muro
Di tanti
Che mi corrispondevano
Non è rimasto
Neppure tanto
Ma nel cuore
Nessuna croce manca
È il mio cuore
Il paese più straziato.

Promemoria di Gianni Rodari

Ci sono cose da fare ogni giorno:
lavarsi, studiare, giocare
preparare la tavola,
a mezzogiorno.
Ci sono cose da fare di notte:
chiudere gli occhi, dormire,
avere sogni da sognare,
orecchie per sentire.
Ci sono cose da non fare mai,
né di giorno né di notte
né per mare né per terra:
per esempio, la guerra.

Fino a quando avrò di Samih al-Qasim

Fino a quando avrò pochi palmi della mia terra!
Fino a quando avrò un ulivo…
un limone…
un pozzo… un alberello di cactus!
Fino a quando avrò un ricordo,
una piccola biblioteca,
la foto di un nonno defunto… un muro!
Fino a quando nel mio paese ci saranno parole arabe…
e canti popolari!
Fino a quando ci saranno un manoscritto di poesie,
racconti di ‘Antara al-’Absi
e di guerre in terra romana e persiana!
Fino a quando avrò i miei occhi,
le mie labbra,
le mie mani!
Fino a quando avrò… la mia anima!
La dichiarerò in faccia ai nemici!
La dichiarerò… una guerra terribile
in nome degli spiriti liberi
operai… studenti… poeti…
la dichiarerò… e che si sazino del pane della vergogna
i vili… e i nemici del sole.
Ho ancora la mia anima…
mi rimarrà… la mia anima!
Rimarranno le mie parole… pane e arma… nelle mani dei ribelli!

Io vado, madre Di Abdulla Goran

Io vado, madre.
Se non torno,
sarò fiore di questa montagna,
frammento di terra per un mondo
più grande di questo.
Io vado, madre.
Se non torno,
il corpo esploderà là dove si tortura
e lo spirito flagellerà,
come l’uragano, tutte le porte.
Io vado…madre…
Se non torno,
la mia anima sarà parola …
per tutti i poeti.

I bambini giocano di Bertolt Brecht

I bambini giocano alla guerra.
E’ raro che giochino alla pace
perché gli adulti
da sempre fanno la guerra,
tu fai “pum” e ridi;
il soldato spara
e un altro uomo
non ride più.
E’ la guerra.
C’è un altro gioco
da inventare:
far sorridere il mondo,
non farlo piangere.
Pace vuol dire
che non a tutti piace
lo stesso gioco,
che i tuoi giocattoli
piacciono anche
agli altri bimbi
che spesso non ne hanno,
perché ne hai troppi tu;
che i disegni degli altri bambini
non sono dei pasticci;
che la tua mamma
non è solo tutta tua;
che tutti i bambini
sono tuoi amici.
E pace è ancora
non avere fame
non avere freddo
non avere paura.



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