L’atto più recente di questo triste film per il nostro paese, che non ha risparmiato neppure Bulgari (in quota Lvmh), riguarda il marchio di gioielleria milanese fondato da Pino Rabolini nel 1967, che gode di un’immagine affermata sul piano internazionale e di un fatturato importante, nella top five continentale dello specifico comparto con 146 milioni di euro nel 2012.

Questa notte si è siglata l’intesa, al termine di un lungo periodo di trattative, durato alcuni mesi. Ora Pomellato entra nella costellazione di Kering, conosciuta in precedenza come PPR, acronimo di Pinault-Printemps-Redoute, del cui universo fanno parte anche Gucci, Bottega Veneta e Brioni, giusto per fermarci alle perle di casa nostra.

La holding d’oltralpe rileva l’81 per cento di Pomellato, ma Andrea Morante, che detiene il 5 per cento del capitale azionario, conserva il ruolo di amministratore delegato. Del resto, la vendita non è figlia di un’azienda decotta e gestita male, ma di un gruppo vivace e ben amministrato, che dispone di una rete distributiva capillare in tutto il mondo. L’obiettivo è farne un brand ancora più globale.

Pinault va fiero del nuovo acquisto: “Pomellato e Dodo rientrano tra i nomi di gioielleria più affascinanti e innovativi del mondo. Sono quindi lieto che si uniscano al nostro prestigioso portafoglio di marchi di lusso. Abbiamo grandi ambizioni e metteremo a disposizione la nostra esperienza e il nostro know-how, preservando i valori dell’identità italiana”. Meno male!

Via | Corriere.it
Foto | Pomellato.it

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ultimo aggiornamento: 24-04-2013