Style & Fashion ha intervistato in esclusiva il direttore creativo di Swatch Carlo Giordanetti, lo abbiamo incontrato in occasione di ITS 2014, in occasione della premiazione di ITS Artwork 2014, che ha visto vincere la giovane Virginia Burlina. Con Carlo abbiamo parlato di creatività, internet, innovazione e ovviamente del fantasioso mondo Swatch.

Partiamo da ITS, come è avvenuto il processo di scelta delle opere?

Questo è il secondo anno in cui partecipiamo e quest’anno abbiamo scelto di non fare prodotto fondamentalmente, volevamo la novità e la differenza rispetto agli altri. Il motivo per cui abbiamo scelto di non fare prodotto è alla fine molto semplice, noi lavoriamo così, non partiamo dal prodotto, partiamo dal concetto, partiamo da questa idea di raccontare delle storie. E ho pensato che visto che avevamo a disposizione una miniera di giovani talenti, facciamogli raccontare delle storie e devo dire che ha funzionato molto bene, i ragazzi si sono sentiti, come io volevo, molto liberi. Si son lasciati andare anche nello spazio e questo mi è piaciuto molto. Avevo quasi più paura che alcuni rimanessero un po’ troppo limitati, invece li abbiamo fatti espandere e si sono espansi bene. Questa è in fin dei conti la nuova avventura e mi piace molto perchè è come se fosse diventata una galleria d’arte con dei pezzi esposti, che è molto nel dna di Swatch, come l’hotel di Shanghai, ma anche come l’ufficio di Zurigo. A Zurigo c’è il LAB, il nostro ufficio creativo, ma è un edifico che oltre ad avere degli uffici, va ben tre piani sotto terra, raccoglie tutta la collezione storica, tutte le opere d’arte di Shanghai, quindi l’idea era quella di invece di portare l’arte fuori, qualche volta di portarla anche dentro, in azienda.

Come nascono le collezioni Swatch e quali sono i mood che vi ispirano?

Diciamo che la prima parte del mio lavoro e forse è quella che mi piace di più, perchè mi fa sentire un po’ artista, è quella di scrivere le storie, quindi il lavoro della collezione parte da lì, parte da delle storie che io racconto al team, nel senso che creo dei temi, creo dei mood, però andiamo al di là del moodboard, e la storia nasce dalla ricerca, qualche volta è invece frutto solo del feeling di stomaco, come avere la necessità di raccontare qualche cosa, poi io però lascio al team una prima fase di completa libertà, gli fornisco delle piattaforme, perchè altrimenti la creatività in libertà non ci porterbbe da nessuna parte, però in quella beata forma lì, se per esempio io gli ho dato la gamma dei rossi e se loro invece sentono tutto blu, viola e verde, procediamo con quei colori. E’ un processo abbastanza lungo, perchè devono avere del tempo per fare e poi disfare.
Poi c’è una fase in cui si comincia a fare un lavoro di mescola, dove diventa molto importante un processo di ascolto, lì è dove il designer bravo si differenzia dal designer ceativo e basta, perchè sono quelli che sanno ascoltare e prendono non la critica, ma lo scambio ed è un processo lungo, ma molto appassionante perchè è un processo che si basa tutto sul rapporto con la persona. Dopo di chè arriva la scure, ovvero l’editing.

Quanto conta per te è il rapporto tra creatività e innovazione tecnologica?

E’ da dove viene l’ispirazione che è interessante, ad esempio per noi il lavoro con gli artisti è sempre stato più interessante quando per un’idea di un’artista abbiamo dovuto fare delle cose che prima non facevamo, per cui poi ne è derivata l’innovazione. Poi il gruppo ha delle altre nnovazioni come il Sistem51, e quello è un altro discorso, ma l’innovazione nella creatività pura è quando c’è quello che vai oltre ciò che non hai ancora fatto.

Se potessi scegliere con che artista lavorare?

Io ho un sogno, mi piacerebbe moltissimo lavorare con Marina Abramovic, perchènon riesco a immaginarmi cosa potrebbe fare, quindi mi intrigherebbe moltissimo, perchè trovo che ha una forza assolutamente dirompente in quello che fa.

Ci sono stati casi di Swatch rimasti nel cassetto e poi usciti?

No, quello è un po’ una di quelle cose che succedono quando tu fai l’editing della collezione, ci sono quelle dieci idee bellissime, ma che non ci stanno, ci sono già troppi orologi, non è abbastanza commerciale, mettiamola lì e poi la riprendiamo e poi alla fine non lo facciamo mai. Il processo creativo una volta che riparte da zero, riparte ex novo. Tieni poi anche conto che noi abbiamo un archivio immenso, quando avevamo la boutique in Via della Spiga e quella di Place Vendome, che c’è ancora, dove avevamo le collezioni dedicate, c’era praticamente un altro mondo parallelo, ma lo sai che adesso, traslocando da Milano a Zurigo, abbiamo riaperto le casse e io mi sono trovato con i lacrimoni, perchè ci siamo trovati in mano dei prototipi fatti a mano dalla Giusy Bresciani, la modista in Via Morone, adesso in qualche modo dovremo organizzare una retrospettiva.

Come vedi il mondo della comunicazione del brand legato a internet e ai social media oggi?

Beh noi non siamo ancora dove dovremmo essere, non siamo un buon esempio, nel senso che sicuramente bisognerebbe essere più spontanei e forse trasferire un po’ dell’innocenza che il prodotto ha anche nella comunicazione e forse lì siamo un po’ più svizzeri. Ma io credo tantissimo, non in internet di per sè, ma è nell’aver creato questo concetto della viralità, il concetto della comunicazione virale, io questo lo trovo veramente interessante, la possibilità di prendere un’informazione di trasferirla, di aggiungerla mettendoci una chiave di lettura personale, questo lo trovo veramente affascinante e ai tempi noi avevamo proprio fatto un progetto con Negroponte, basato proprio sull’idea dell’inizio di internet, era proprio la sua vision, questa cosa di poter far sì che non solo l’informazione circolasse, ma circolasse con la possibilità di avere la tua zampata.

Non possiamo che chiudere l’intervista chiedendoti che cos’è per te il tempo?

Sai che non ci penso mai… Intanto perchè vivendo in svizzera, una volta che hai memorizzato i tempi non ti devi preoccupare perchè è tutto puntuale e poi… non ci penso.

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ultimo aggiornamento: 20-08-2014