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La violenza sulle donne è ormai una triste consuetudine nelle pagine di cronaca nera, ogni giorno leggiamo di aggressioni sessuali, minacce, rivendicazioni e stalking e mi sembra che vada sempre a peggiorare. Un giorno sono turisti, un altro ragazzine o anziane, mogli, ex mogli e compagne, figlie di ex compagne e persino dottoresse della Guardia Medica. La violenza è universalmente considerata sbagliata e da condannare ma si insinuano sempre quelle domande del tipo: E tu dov’eri? Com’eri vestita? Cosa stavi facendo? Quasi a voler trovare un alibi a quello che è accaduto, un pretesto per giustificare perché la vittima era lei e non un’altra. Trovare delle differenze tra loro vittime e noi, mettere distanza per sentirsi al sicuro, solo che distanze non ce ne sono, e nemmeno sicurezze.

La verità è che non ci sono giustificazioni a niente, si può uscire come si vuole e fare quello che si vuole, lo stupro ed ogni altra forma di violenza non devono sussistere, indossare una minigonna e dei pantaloni attillati non implica nulla. In una delle sale dell’Università del Kansas è esposta una mostra che si intitola “Cosa indossavi?” e racconta 18 storie di violenza sessuale viste attraverso i vestiti le vittime indossavano al momento dell’aggressione.

Una mostra bellissima e d’impatto che ci fa vedere che le vittime stavano vivendo le loro vite normali, vestite normalissime, come potremmo vestirci noi: felpe, costumi da bagno, vestiti eleganti, jeans, magliette, camicie. La mostra permette di riflettersi dentro i vestiti esposti e quindi di immedesimarsi, di capire che le vittime non hanno nessuna colpa, di creare una rete sociale di solidarietà.

La mostra è stata creata nel 2013 e si sta spostando lungo tutti gli Stati americani, da università ad università, per veicolare messaggi importanti, essere vicini alle vittime e liberarle dal tarlo del senso di colpa, ma allo stesso tempo per invitare tutti ad essere più comprensivi e solidali con chi ha subito una violenza.

Jen Brockman, direttore del Centro per la prevenzione e formazione sessuale di Kansas , ha dichiarato:[quote layout=”big” cite=”Jen Brockman] “Non è l’abbigliamento che provoca una violenza sessuale, è la persona che fa del male. Essere in grado di trovare pace per i superstiti e creare un momento di consapevolezza per la comunità è il vero obiettivo del progetto”.[/quote]

Fonte e Foto | JENNIFER SPRAGUE e huffingtonpost

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ultimo aggiornamento: 23-09-2017