Tornare al lavoro dopo una gravidanza è dura. Bisogna organizzarsi: trovare un nido o una baby sitter, che hanno costi spesso folli, sperare che i nonni sia disponibili (sempre che ci siano). E anche quanto tutto sembra essere pianificato, ci sono tantissimi fuori programma con cui fare i conti, come le malattie dei bambini, che i primi anni sembrano non finire mai. A questo aggiungiamo contratti precari e stipendi da fame. Non ci sorprendono, quindi, i dati Ista, che svelano che il 30% delle neomamme lascia il lavoro dopo la gravidanza.
Il dato risente anche della crisi: tra il 2005 e il 2012 il livello di abbandono è passato dal 18,4% al 22,3%. Inoltre, nel 60% dei casi devono passare almeno 5 anni prima del rientro. Come mai? Le interruzioni sono per motivi familiari e a causa di lavori atipici, che non garantiscono la maternità. Infatti, l’Istat ha così specificato:
[related layout=”big” permalink=”https://www.pinkblog.it/post/57915/donne-al-lavoro-dopo-la-maternita-con-i-voucher-per-baby-sitter-e-asilo”][/related]L’Italia continua a essere un Paese caratterizzato da un’elevata asimmetria dei ruoli nella coppia (il 72% delle ore di lavoro di cura della coppia con figli sono svolte dalle donne), da una bassa offerta dei servizi per l’infanzia e una crescente difficoltà di conciliazione, soprattutto per le neomadri (dal 38,6% del 2005 al 42,7% del 2012).
Dagli anni ’90 è progressivamente aumentato il part-time femminile (dal 21% del 1993 al 32,2% del 2014), con conseguenti minori livelli medi di retribuzione e importi più bassi dei contributi versati. Una donna su due ha una pensione sotto i 1.000 euro.
Via | Radiomontecarlo

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