Siamo donne, siamo madri, siamo figlie e siamo compagne. E con l’avvento della modernità possiamo anche dire che siamo lavoratrici e proprietarie di beni, che siamo libere di non sposarci senza essere giudicate perdenti, che possiamo usufruire dei livelli più alti di istruzione e che possiamo anche occupare alte cariche pubbliche. Quantomeno sulla carta e sicuramente in Occidente. Poi però, a ben guardare ci rendiamo conto che la nostra metà del cielo non è ancora libera da nuvole e allora ci fermiamo a pensare quanto l’8 marzo sia effettivamente una data da festeggiare.

L’Ovest del mondo, di cui l’Europa (fino ai Balcani) fa a ragione o torto parte, viene annoverato spesso come la zona del pianeta dove al gentil sesso conviene nascere. Questo perché qui è dove può vantare un’aspettativa e una qualità di vita alte, dove ha una sua indipendenza, dove può fare carriera e dove non deve dipendere in tutto e per tutto, anche dal punto di vista economico, dal padre, dal fratello o dal marito. È il posto dove, in pratica, ci si può concedere il lusso di dire con leggerezza “Buona Festa della donna“.

Dall’altra parte, nell’Est (ovviamente non trattasi di distinzione geografica ma prettamente letterale e culturale) ci sono realtà più povere, più chiuse e più pericolose, dove i diritti più basilari vengono costantemente negati in nome delle tradizioni locali e della religione. Qui una femmina, dal grembo di sua madre fino alla tomba, non ha garanzia sulla sua vita, sul suo futuro e sull’indipendenza delle sue scelte.

I diritti delle donne, è triste dirlo, spesso e volentieri non sono riconosciuti neppure da alcuni Paesi che hanno iniziato a ragionare con più decisione sui diritti umani minimi, quelli che per definizione sono inalienabili. Come se ci fosse una sorta di dicotomia fra una cosa e l’altra, dove si riconosce il diritto alla vita, alla sicurezza personale, a non subire discriminazione, non è infatti detto che si usi la stessa moneta per soggetti di genere diverso.

E ovviamente non parliamo dei diritti di seconda, terza e quarta generazione che al momento sono addirittura utopici. Ma se questi argomenti sono da lustri sull’agenda delle Organizzazioni sovranazionali e sappiamo che molti traguardi sulla carta sono stati raggiunti, cos’è che non sta funzionando a dovere? E a quale grado di civiltà ci si è fermati?

È presto detto. A livello universale tutti concordano sul fatto che il riconoscimento effettivo dei diritti delle donne è la cartina al tornasole del grado di benessere e di civilizzazione globali. Per tale ragione l’Onu, Amnesty International e altri enti sovrastatali hanno lavorato sodo per ottenere dei risultati soddisfacenti spingendo gli Stati occidentali all’azione.

E in effetti dei passi importanti sono stati fatti, ma molto lenti e ancora molto traballanti. Facciamo qualche esempio più pratico. Nel 1979 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite adottava La Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne (CEDAW), una carta mirabile che in 30 articoli più preambolo sanciva la parità tra uomini e donne nei diritti umani e nelle libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale, culturale, civile o in qualsiasi altro ambito.

Ebbene, ad oggi questo documento ancora non riporta firma e/o ratifica di molti Paesi, perciò, come ogni azione di diritto internazionale che si rispetti (e ciò è un bel guaio), non è vincolante per tutti. Iran, Somalia e Sudan ad esempio, sono fra gli Stati non firmatari della Convenzione, ma sappiamo con certezza che anche in alcune Nazioni che l’hanno regolarmente ratificata le donne non riescono a godere dei diritti che la legge riconosce loro.

In molti di questi luoghi le donne non hanno diritto ad avere una proprietà o ad ereditare la terra, sono escluse dalla vita sociale, sono ancora vittime dei cosiddetti “delitti d’onore” e delle mutilazioni genitali. Hanno inoltre una mobilità limitata e sono costrette al matrimonio precoce. E soprattutto si vedono negato il diritto alla salute, uno di quei diritti di prima generazione che invece dovrebbe essere tutelato ovunque.

Human Rights Watch descrive in alcuni suoi rapporti che questi Paesi hanno si recepito formalmente le disposizioni di legge, ma poi non sono stati in grado di tradurre le parole in fatti. E questo è avvenuto soprattutto nelle società patriarcali dove religione e/o tradizione hanno letteralmente frenato il riconoscimento dei diritti delle donne.

Poi sappiamo anche che talvolta le tanto sacre leggi divine, già piuttosto rigide nei dettami, sono spesso manipolate e interpretate a piacimento dall’uomo, che si cela dietro la loro inviolabilità e intanto mette nuovi paletti alla libertà di modernizzazione. Per dirne una: è di ottobre scorso la notizia del drive-mob delle donne saudite per sancire il loro diritto alla guida, negato per estensione squisitamente umana di un principio del Corano.

Per quanto Maometto potesse vederci lungo, dubitiamo infatti che avesse previsto già secoli fa l’avvento del motore a scoppio. Dove non è giunto il profeta però è comunque arrivata la mano lunga di alcuni seguaci un po’ troppo zelanti. E così, se da una parte è forte il desiderio di andare avanti, di rinunciare ad una tradizione obsoleta e sessista, dall’altra ci si scontra contro muri di carne e ossa. I quali, dove non usano la forza per ottenere rispetto, usano l’indifferenza e tagliano i ponti con la modernità.

Ma senza andare lontano, ci sembra che da noi in Occidente le cose siano tutte rose e fiori? Il già citato CEDAW, tanto per cominciare, aspetta da trent’anni di essere ratificato da Stati Uniti e Città del Vaticano, il che ci fa storcere un po’ il naso pensando che il gigante economico e quello secolare si sarebbero quantomeno dovuti degnare di dare il buon esempio. E invece così non è stato.

Poi, nella cara Europa l’emancipazione femminile non ha ancora raggiunto i livelli sperati dalle sessantottine che bruciavano i reggiseni in piazza e occupavano le Università pubbliche. E questo in soldoni significa che la tanto anelata parità di salario è ancora un traguardo non raggiunto, anche se il gap si sta riducendo. Inoltre ancora sono poche le signore che siedono nei consigli di amministrazione, perché ai piani alti c’è ancora molta diffidenza sull’affidabilità di una donna nel ricoprire certe cariche.

E poi ovviamente la doccia fredda: la violenza di genere, una piaga di cui oggi si parla malvolentieri ma che è così radicata nelle nostre società da fare paura. Proprio a tal proposito, per darvi un ulteriore spunto di riflessione, vi lasciamo alla visione di un video dalle immagini crude di Woman’s Day #throughglass, un progetto finalizzato a far riflettere su ciò che è spesso costretta a vivere e vedere una donna ogni giorno.

Altro che mimose e cene fuori, regaliamoci più rispetto per noi stesse valevole 365 giorni l’anno. In caso contrario tutti gli auguri che riceveremo saranno inesorabilmente auguri scomodi. Tout court.

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ultimo aggiornamento: 08-03-2014