I diritti delle donne e la parità di genere sono fortemente perseguiti dall‘Unione Europea, che oggi forse è all’avanguardia, ancor più degli stati uniti D’America, nel rendere possibile il vero e totale superamento di qualunque discriminazione.

Normative e protocolli ratificati da tutti gli Stati membri, come la recente Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta contro la violenza sulle donne (in specie domestica), e costanti “bacchettate” agli Stati membri che non rispettino queste leggi, sono una garanzia e una protezione per la popolazione femminile europea, che la pone al riparo sotto un grande “cappello” giuridico.

E l’Italia? Dal punto di vista legislativo stiamo mettendoci al passo con la UE, e in effetti molte cose sono cambiate negli anni, molti passi in vanti sono stati fatti per cercare di colmare quel divario che purtroppo ha sempre contraddistinto un Paese un po’ troppo “machista” (per impostazione culturale e storica) come il nostro.

Ad esempio, anche le recenti modifiche alla tanto contestata Legge 40 che disciplina una materia “scottante” come la procreazione assistita, con l’apertura al ricorso alla fecondazione eterologa, può essere vista come una ulteriore estensione del diritto della donna a diventare madre. Certo, nella vita “reale” (parliamo sempre della nostra Italia), è ancora visibile una certa disparità di genere, ad esempio a livello professionale o politico.

E’ stata bocciata, di recente, l’introduzione delle quote rosa nella nuova Legge elettorale per facilitare l’ingresso delle deputate in Parlamento e rendere quest’ultimo più eterogeneo ed equilibrato.

E poi ci sono le discriminazioni “sotterranee”, come gli stipendi ancora non del tutto equiparati (almeno in alcuni settori) tra uomini e donne, la poca attenzione alla madri lavoratrici e alla tutela dei loro diritti, la disoccupazione femminile elevatissima (soprattutto nel Mezzogiorno d’Italia), la penuria di donne ai vertici di settori chiave della finanza, della comunicazione, dell’industria, della politica stessa.

Ma le cose, a ben guardare, stanno cambiando. Rimane, spina nel fianco, il boicottaggio all’applicazione della legge 194 sull’aborto, da parte dei tanti (troppi), medici obiettori che di fatto, in molte strutture ospedaliere impediscono alle donne di accedervi, disattendendo anche gli esiti di uno dei referendum popolari che maggiormente impegnarono il partito radicale negli anni settanta, naturalmente al fianco del movimento femminista, attivissimo in quegli anni.

La legge è sempre lì, ma la sua applicazione non è facilmente resa possibile. Per fortuna l’Europa “veglia” su di noi e ci tutela, anche con sanzioni all’Italia. Possiamo davvero sperare di uscire dalla zona UE (contro cui in tanti “tuonano”, oppressi dai vincoli economici a cui la moneta unica ci lega) o, almeno dal punto di vista femminile, non è forse una garanzia, l’appartenervi? Il dibattito è aperto.

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Foto| via Pinterest

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ultimo aggiornamento: 01-07-2014