Nella breve ma intensa storia dell’uomo alla conquista dello spazio, un posto importante è ricoperto dalle donne astronaute. Il primo nome che, ora come ora, ci vien in mente, è quello della “nostra” Samantha Cristoforetti, la prima italiana in orbita (attualmente membro della missione Futura sulla Stazione spaziale internazionale SSI), ma in realtà Sam è “solo” la 90ma (o giù di lì) donna ed essere andata in orbita. La prima fu la russa Valentina Tereshkova, che nel 1963 poté sperimentare l’ebbrezza di ammirare la terra dallo spazio.
Ma prima ancora di questa pioniera, ci fu un gruppo di 19 americane, tutte pilotesse esperte dell’aeronautica civile americana, che avrebbero potuto partire in orbita e vivere, così, un’esperienza unica e straordinaria, ma che non ne ebbero la possibilità, seppur sulla carta avessero tutti i numeri per poterlo fare. Vi raccontiamo la storia della Mercury 13, un nome postumo (attribuito all’esperimento solo negli anni 90), per una missione abortita prima di poter vedere la luce (delle stelle in questo caso).
Alla fine degli anni cinquanta, siamo negli USA, William Randolph Lovelace II, lo scienziato che per primo aveva messo a punto il programma di preparazione a terra per gli astronauti che dovevano partire in orbita, ebbe l’idea di “testare” anche le donne. I loro fisici più leggeri e meno ingombranti sarebbero stati senza dubbio più indicati per resistere in un ambiente ristretto come quelle di una navicella spaziale.
Per tale ragione vennero reclutate le 19 pilotesse per essere sottoposte ai durissimi test della NASA per l’idoneità a volare nello spazio. La prima ad essere selezionata fu la 29enne Geraldine Cobb, pilota più che esperta, con oltre 7mila ore di volo alle spalle. Le altre aviatrici vennero scelte con altrettanto scrupolo in base ai requisti, tra cui l’aver accumulato almeno 1000 ore di volo ciascuna.
Delle 19 aspiranti astronaute 13 superarono tutti i test, risultando idonee a partire nello spazio. Alcune delle prove a cui vennero sottoposte erano davvero terribili, in una, ad esempio, dovevano restare immerse in una vasca, completamente al buio, più a lungo possibile prima di andare “fuori di testa”. Le donne si dimostrarono in tutte le prove fisiche e psicologiche più resistenti a adattabili degli uomini, ma… a nessuna di loro venne data l’opportunità concreta di sperimentare la vita nello spazio, perché la missione Mercury 13 non si effettuò mai.
La ragione? Un cavillo: infatti a quei tempi si richiedeva agli astronauti la laurea in ingegneria e il titolo di collaudatore aeronautico militare, peccato che ai tempi l’aeronautica militare statunitense fosse blindata per le donne. Una vera beffa, tanto che alcune delle 13 aviatrici della missione Mercury 13 fecero poi causa alla NASA davanti al Congresso degli Stati Uniti e riuscirono, proprio in virtù delle loro giuste rivendicazioni, ad aprire il dibattito fruttuoso sulle discriminazioni di genere.
In quegli anni (siamo nei primi anni sessanta) si arrivò così all’apertura alle donne anche della carriera militare e, di conseguenza, alla conquista dello spazio. E’ una bella storia di lotta contro gli stereotipi di genere e contro le disuguaglianze e la discriminazione nei riguardi delle mondo femminile che ci fa riflettere su come, nonostante tutto, i tempi siano davvero cambiati grazie al sacrificio e alla lotta di tante donne coraggiose. Come Geraldine Cobb e le sue compagne.
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Foto| via Pinterest
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