1. Dar da mangiare agli affamati.
2. Dar da bere agli assetati.
3. Vestire gli ignudi.
4. Alloggiare i pellegrini.
5. Visitare gli infermi.
6. Visitare i carcerati.
7. Seppellire i morti.

Queste le sette opere della misericordia corporale riunite in un lavoro maestoso: le “Sette opere della misericordia”. Un’opera che sarebbe arrivata presso l’Istituzione che lo aveva commissionata, il Pio Monte della Misericordia di Napoli, che la detiene ancora oggi, il 9 gennaio 1607, per la somma di 400 ducati pagati da Tiberio del Pezzo, secondo i Declaratoria (una specie di libro cassa nel quale i governatori registravano le decisioni economiche del Monte) a Michelangelo Merisi, il Caravaggio che l’aveva realizzata ispirandosi all’intensità della popolazione della città partenopea, foriera di scenari unici e di ottimi spunti di pathos.
Destinato ad ornare l’altare maggiore, il quadro è un incredibile sunto di tutte e sette le azioni della carità cristiana, riunite dal pittore maledetto, arrivato a Napoli nel 1600 per sfuggire all’indagine per omicidio che pesava sulla sua testa a Roma, inebriato dai fumi dell’alcol, dal buon cibo, dal clima eccezionalmente mite e dall’affabilità di un popolo fiero ed amante, un corpus di modelli caravaggieschi, che mette in scena ogni giorno l’incredibile gioco dei chiaroscuri riprodotto con maestria da un artista venuto da lontano, eppure terribilmente napoletano nella resa cromatica, nei contrasti e nelle interpretazioni di una spiritualità straripante, non estranea a culti molto meno canonici e a pratiche rituali figlie di un folklore che esita tra luci ed ombre.

Via | piomontedellamisericordia.it

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ultimo aggiornamento: 07-11-2013